Nell’analisi non ci si limita a ripetere sentimenti
antichi, ci si apre anche a sentimenti nuovi
Come
si fa, al termine di una terapia psicologica, a distinguere un innamoramento
reale dal cosiddetto transfert? Si dà sempre per scontato che i sentimenti e
gli stati d’animo, positivi o negativi, del paziente nei confronti del
terapeuta non siano altro che la riproposizione di affetti infantili, ma non
potrebbe, talora, essere diverso? La curiosità, l’interesse, il coinvolgimento
che ho provato, e provo, verso il mio dottore sono, per me, sentimenti del
tutto nuovi e sconosciuti, difficili da ricondurre a qualsivoglia esperienza
precedente. Musatti, nel suo Trattato di
psicanalisi scrive: “Non c’è bisogno che un individuo intraprenda un
trattamento psicologico perché si provochino in lui fatti di traslazione
affettiva”. Perché, dunque, preoccuparsi di questo solo nel caso di un rapporto
terapeutico? Preciso che la mia cura è finita, ma io non faccio che pensare,
più di prima, al “mio” dottore e dubito fortemente di poter incontrare nella
vita “reale” un uomo che provochi in me uno stesso dolce sconvolgimento.
Lettera firmata
Io
ho sempre avuto delle difficoltà a comprendere il concetto di “transfert” o
“transazione” che dir si voglia, perché per immaginare che un sentimento
d’amore si stacchi, ad esempio, dal padre per “trasferirsi” nel corso del
trattamento analitico sul’analista, devo ritenere che i sentimenti in sé a
prescindere dalle cose o dalle persone a cui si riferiscono, perché solo così
possiamo pensare a un loro “trasferimento”. In realtà, come il mondo della vita
ci insegna, i sentimenti sono la risonanza emotiva che una certa cosa o una
certa persona determinano nella nostra anima, e proprio perché sono sempre così
specifici, non vedo come possano “trasferirsi” da una cosa o da una persona
all’altra.
Freud
ha costruito un’immagine della psiche, da lui chiamato “apparato psichico”, sul
modello della fisica, assunta come modello di lettura dei fatti biografici. E’
lui stesso a dichiarare questa impostazione là dove, ancora insoddisfatto,
scrive: “Probabilmente le carenze della nostra esposizione scomparirebbero se
fossimo già nella condizione di sostituire i termini psicologici con quelli
della fisiologia e della chimica, che esistono in relazione alle cose e alle
persone a cui si riferiscono. In una
parola non sono “cose”, ma “atti intenzionali”, che cioè “rendono” alla cosa o
alla persona che li suscitano, senza le quali i sentimenti non sorgerebbero.
Venendo
alla questione che lei pone, Ludwig Binswanger in un suo viaggio scrive:
“Nell’atteggiamento del paziente verso il medico, Freud vedeva soltanto una
ripetizione regressiva di “investimenti oggettuali”, prevalentemente diretti
verso i genitori e anteriori da un punto di vista psicobiologico, escludendo
completamente la novità di questo incontro. In questo modo egli fu in grado di
mettere in secondo piano il medico in quanto uomo, facendogli svolgere il suo
ruolo tecnico assolutamente indisturbato dall’elemento personale, come per il
chirurgo o il radiologo”. In questa visione meccanicistica ciò che si trascura
è il fatto che l’incontro con il medico è terapeutico non perché il paziente
ripete regressivamente gli itinerari consueti dei suoi “investimenti
oggettuali”, ma perché, forse per la prima volta, nel nuovo incontro, ha la
possibilità di abitare una nuova visione del mondo dischiusa dall’analisi.
Ha
quindi ragione Musatti là dove dice che ogni evento d’amore, se vogliamo
adottare il linguaggio psicoanalitico, è un transfer, ma subito occorre
aggiungere che ogni transfert altro non è che un evento d’amore. Del resto in
analisi la cura non passa solo attraverso l’amore, che non è un evento tecnico
come le parole “transfert” e “controtransfert” vorrebbero far intendere. Quanto
poi al fatto che lei dubita di poter incontrare nella vita reale un amore più
grande di quello che oggi prova per il suo analista è perché la sua anima oggi
è occupata da lui. Ma quando la figura dell’analista si congederà dalla sua
anima, questa diverrà disponibile per altri amori anche più grandi, perché
forse, proprio grazie all’analisi, lei ha aperto il suo cuore e ha imparato ad
amare.
Umberto
Galimberti – Donna di Repubblica – 25-5-13
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