Perché Gli Uomini Non Capiscono Le Donne
“Da dove viene la paura dell’altro che
spinge i maschi sempre più insicuri a perseguitare il simbolo di ciò che non
riescono a comprendere?”
Da
dove vengono la paura delle donne e l’odio che spinge uomini sempre più
insicuri a perseguitarle e ucciderle? Forse dalla paura dell’Altro in senso
lato, del doppio, insomma della dimensione duale della realtà? Scrive
S.Agacinski: “L’androcentrismo obbedisce a una paura metafisica della
divisione. Il pensiero occidentale sente la nostalgia dell’uno. L’uno è il
riposo del pensiero, in esso si può sostare. La divisione è al contrario una
struttura che apre: il due è lo scarto, la faglia, la fatalità
dell’intermediario e quella della combinazione”. Ecco, la donna si colloca su
quella faglia. In quanto potenzialmente madre, è il simbolo vivente di una
dimensione duale. Tutti siamo nati da una donna, ma per il maschio riconoscere
ciò è dirompente, in quanto la donna per lui rappresenta l’Altro da sé, tutto
ciò da cui si deve differenziare per dimostrarsi uomo. Ecco che uomini
insicuri, cresciuti all’ombra di valori sociali e familiari attinenti al potere
e al possesso, cercano di esercitare a loro volta un controllo ossessivo verso
i soggetti ritenuti più deboli. E sono le donne i soggetti ideali per questi
uomini, che nutrono verso di loro un’antica paura e che non esitano ad
aggredirle e ucciderle, quando mostrano di non accettare tale sopraffazione.
Stefania
Maffei
Quando si parla in generale dell’uomo e
della donna si fanno osservazioni al limite dell’insignificanza, perché, come
ci ha insegnato Kierkegaard, a differenza del mondo animale, nel mondo umano
l’individuo conta di più del genere. C’è infatti donna e donna così come c’è
uomo e uomo. C’è però una linea di
tendenza o una sorta di frequenza che ci consente di dire che, a differenza del
maschio, la donna, come lei ricorda, è biologicamente e psicologicamente “due”,
nel senso che il suo corpo, sia che generi sia che non generi, è fatto per
l’alro, e la sua psiche si configura nella forma della relazione, per cui anche
la sua sessualità, a differenza di quella maschile, trova la sua espressione a
partire dalla relazione. A sentire poi gli antropologi, la donna ha il potere
di vita e di morte, l’equivalente del potere del re. E se dal re dipende il
controllo delle risorse per il sostentamento della sua tribù, questo controllo
non può non estendersi sulla donna, da cui dipende il potere di riproduzione
che non deve oltrepassare le risorse disponibili. Secondo alcuni a questo
controllo è da ricondurre persino quella pratica medioevale dello ius primae
noctis, che aveva tanto una valenza sessuale, quanto quella simbolica di
controllare il potere generativo della donna.
Se poi prescindiamo da queste
considerazioni generali, che comunque sono stratificate nella psiche inconscia
degli uomini e delle donne, per considerare la violenza fisica o psicologica
del maschio sulla donna, così frequente anche quando non si arriva all’omicidio
nel recinto chiuso delle pareti domestiche, ciò dipende dal fatto che la psiche
maschile è di una povertà disarmante, dovuta al fatto che non ha quasi mai
vista l’altro da sé, ma solo l’affermazione di sé. Non confrontandosi ai con
l’altro, che sfugge persino alla loro percezione, i maschi tendono
prevalentemente a vedere i loro bisogni, i loro desideri, le loro aspirazioni,
e a concepire il massimamente altro da sé, che è la donna sul modello di quella
prima donna che hanno conosciuto: la madre che, come lei opportunamente
sottolinea, incondizionatamente accudiva, curava, soddisfaceva.
Questa povertà psichica dei maschi non consente
loro di elaborare i conflitti e, non conoscendo minimamente la loro parte
femminile, che potrebbe consentir loro di capire chi è una donna, passano
all’atto, che è lo scatenamento della loro forza fisica al pari degli animali.
Quando invece sono forniti di buone maniere, usano quelle torture psicologiche
che la loro razionalità, disgiunta dal loro cuore atrofico, intreccia con un
cinismo freddo, che fa sentire la donna colpevole e loro forniti di buone
ragioni.
Così autoassolti ai loro occhi, ancora
non capiscono che nei rapporti d’amore non sono le buone ragioni.
Così autoassolti ai loro occhi, ancora
non capiscono che nei rapporti d’amore non sono le buone ragioni, ma la forza e
l’ampiezza del sentimento a far
comprendere le esigenze, quando non le sofferenze, dell’altro. Ma per questo è
necessario che l’altro sia davvero concepito come “altro”, e non come cosa propria di cui si può disporre a
piacimento. Nell’evoluzione della specie il percorso di emancipazione dei
maschi è ancora lungo, e non è facilitato se l’emancipazione femminile segue
percorsi maschili.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 8-6-13
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