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lunedì 10 giugno 2013

Lo Sapevate Che: Gli amici dell'Adolescenza...


Perché Gli Amici Dell’Adolescenza Restano Speciali

Avevo 15 anni, andavo al ginnasio, e il mio insegnante di chitarra e il mio insegnante, tal  Peppo, tenebroso e poco più grande di me, mi chiese: “Ma tu, la sera, quando esci con i tuoi amici, che fai?”.
La domanda, nelle intenzioni casuale e innocente, mi gettò nel più cupo sconforto. Non avevo amici bensì solo compagni di classe, per lo più nerd e secchioni, come me. Passavo le mie serate a giocare a Machiavelli con mia madre sul tappeto in sala, a studiare l’aoristo greco o a scrivere dei miei tormenti adolescenziali e del mio spasmodico desiderio di trovare il principe azzurro, sulle pagine di un diario dalla copertina rosa. La prospettiva di uscire la sera era per me remota al pari di una gita in deltaplano, dello smalto sulle unghie e di un dieci nella versione di Latino.
Fortunatamente, a 15 anni, le prospettive cambiano come le stagioni e, esattamente un anno dopo quell’improvvida domanda, ogni sabato sera avevo appuntamento alle 19 in punto nel mezzanino della metropolitana milanese, fermata Loreto, per uscire con i miei amici. Lo so, ci sono luoghi più accoglienti e ameni del sottosuolo urbano per muovere i primi passi di una mondanità acerba ma promettente. Tuttavia a me quel rito settimanale accanto alle obliteratrici, sotto la luce ostile di un neon, sembrava la più sublime e ambita delle consuetudini. Loro erano compagni di scuola ma non di classe, fricchettoni ma non disperati, intellettuali ma non soporiferi, impegnati ma non fanatici, gaudenti ma non stoltamente edonisti: perfetti ai miei occhi. E, soprattutto, erano i miei amici, quelli che mi avevano sollevato dal pantano in cui sguazzavo mal mostosa e derelitta, tra una partita di Machiavelli e le confessioni al diario rosa, per condurmi nel dorato mondo di una socialità adulta.
Inspiegabilmente fedeli a quello squallido mezzanino, ci trovammo lì per anni, sempre alla stessa ora, in cinque, dieci o venticinque a seconda dei sabati, dei programmi, del tempo fuori, dei fidanzati che si aggiungevano o si perdevano per strada.
Si cresce anche così: vedendo gente, facendo cose, incontrandosi in Piazzale Loreto, scegliendosi e riconoscendosi tra simili, coltivando un senso di appartenenza che regala radici, identità ed equilibrio.
Ci somigliamo tutti parecchio, a quei nastri di partenza, quando trascorrevamo notti a parlare fitto di noi e del futuro, quando andavamo al cinema o a una festa, quando alzavamo il gomito, quando i nostri genitori ci venivano a prendere in macchina, sbadigliando e controvoglia, alla fine di un concerto e noi, ingrati, li accoglievamo con uno sbuffo.
Siamo diventati grandi, abbiamo cambiato scuole, case, città, vite.
Ci siamo persi, inseguiti, ritrovati, riuniti per matrimoni, compleanni rotondi, per conoscere un bambino nuovo, per salutare qualcuno che nn c’è più. Ci siamo spesso sfilacciati, talvolta ricomposti.
Qualche settimana fa – era un sabato sera, come allora, anche se non c’erano le obliteratrici –ci siamo ritrovati perché uno di noi partiva per un lungo viaggio e voleva salutare tutti quanti o forse voleva sentirsi a casa, prima di lasciarla.
Sono passati quasi trent’anni. Il mezzanino della stazione Loreto della metropolitana è rimasto identico. Noi no, Qualcuno è più felice e sereno, qualcuno ha perso i capelli, qualcuno è più magro o più grasso, qualcuno è realizzato, qualcuno è inciampato e si è rialzato.  Qualcuno ha fatto carriera, qualcuno no, Qualcuno  ha avuto dei bambini, qualcuno ha un cane, un gatto o un camper, Qualcuno è inquieto e vorrebbe scappare, come allora. Siamo gradi, ormai. Siamo simili a quelle madri e qei padri all’uscita del concerto, nascosti in macchina, perché già in pigiama. Eppure io ho ancora bisogno di loro, di quegli amici, che sono le mie radici, la mia storia, il mio inizio. Sono uno dei motivi per cui, nonostante tutto, non voglio andarmene da qui, la misura del mio cammino, lo specchio in cui riconoscermi, il filo che tiene tutto insieme.
elasti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 01-06-13


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