Sony lo presentò nell'estate del 1979 per rifarsi dopo un brutto flop
commerciale, cambiando per sempre il nostro rapporto con la musica (e la
percezione del Giappone nel mondo)
È possibile non averne mai posseduto uno o non conoscerne l’esatto
funzionamento, o considerarlo un pezzo di modernariato superato dalla storia,
persino. Ma per le generazioni che ne hanno vissuto l’epopea
pluridecennale, la parola Walkman non può non evocare
almeno un ricordo.
Che sia uno stanco pomeriggio di metà estate, la pubblicità in
bianco e nero sull’ultimo numero di Topolino o l’ennesima
replica di Ritorno al Futuro, quella scatoletta magica marchiata
Sony ha segnato la storia di milioni di vite, contribuendo alla scrittura di
una fetta enorme di cultura pop e alla costruzione di buona parte del nostro
immaginario collettivo. E tutto ebbe inizio esattamente 40 anni fa.
Gli esordi
Il primo esemplare di Walkman fu lanciato sul mercato il
1 luglio 1979 e superò le più rosee aspettative dei suoi creatori. La casa di
produzione giapponese veniva da un brutto flop di quattro anni prima,
quello del Betamax, il sistema di videoregistrazione a nastro
magnetico destinato a rivoluzionare la fruizione di contenuti audiovisivi, ma
soppiantato dal vhs ancora prima di dimostrare le sue indiscutibili
potenzialità. E ne aveva di potenzialità, il Betamax: era tecnicamente
superiore al suo diretto concorrente – introdotto dalla Jvc – in tutto e per
tutto, dalla qualità del supporto alla definizione dell’immagine. Ma aveva due
piccoli problemi, che i manager a Tokyo non avevano visto per tempo: costava
troppo e i nastri duravano troppo poco.
Per uno di quegli scherzi crudeli che la storia ama giocare persino ai suoi
figli più inappuntabili, il Betamax iniziò la sua lenta corsa verso l’oblio
(anche se l’abbandono definitivo della tecnologia avverrà addirittura soltanto
nel 2002) e al Walkman toccò la non invidiabile sorte di dover riscattare l’investimento
azzardato. Il primo lettore portatile di musicassette della storia, un Tps-l2
blu e argento realizzato a partire dallo scheletro di un vecchio
mangianastri Pressman, fu così venduto al prezzo lancio di 39mila yen (circa
150 dollari americani) e sbarcò sui mercati internazionali con svariati nomi –
tra cui i discutibili Soundabout negli Stati Uniti
e Stowaway nel Regno Unito – tutti poi uniformati nel più
iconico Walkman.
Come molte parole che utilizziamo nel linguaggio corrente, Walkman è
infatti un marchio registrato, uno dei rari brand che hanno avuto una
fortuna così invidiabile da essere penetrati a fondo nel sentire comune,
meritandosi la gloria di sostantivi. La parola, entrata nell’Oxford
Dictionary solo nel 1986, è un neologismo composto dal verbo
anglofono walk (passeggiare) e man (uomo),
una combinazione in grado di rendere al meglio la principale qualità del
piccolo ritrovato nipponico: la libertà.
A partire dal 1 luglio 1979, infatti, si scoprì che a ogni uomo era data la
prerogativa di trasformare la propria vita in un film, scegliendone la colonna
sonora e personalizzandone il ritmo. Fino a quel momento l’unico strumento in
grado di trasmettere musica all’esterno era la radio portatile, e l’arrivo del
Walkman modificò in maniera irreversibile il modo di approcciarsi alla
musica, ora non più calata dall’alto e selezionata da giudiziose emittenti,
ma completamente libera. Una rivoluzione molto simile a quella apportata ai
giorni nostri da Netflix nei confronti del palinsesto
televisivo, se ci pensate.
Il successo
Nelle prime settimane le vendite procedettero a rilento, ma una strategia
promozionale molto aggressiva e una buona campagna stampa fecero il miracolo,
tanto che nei successivi due mesi il Walkman sfiorò la quota record di 50mila
esemplari venduti.
Sony decise di non vendere un semplice prodotto, per quanto
tecnologicamente all’avanguardia, ma, come si direbbe oggi, un’esperienza
totalmente nuova. “Forse è così popolare perché nulla del genere è mai
esistito prima” confidava un rivenditore al Washington Post nel
1981. Ed era vero: Sony aveva di fatto lanciato sul mercato una nuova
attività umana, quella di mettere delle cuffie nelle orecchie e uscire a
fare jogging; quella di poter ascoltare la musica rock lontano dalle lamentele
dei parenti più conservatori; quella di rintanarsi in una dimensione tutta
propria di ritmi graditi. Il Walkman era sulla bocca di tutti e a metà degli
anni Ottanta era davvero difficile poterne fare a meno, anche se i
detrattori non mancavano.
“Con l’avvento del Sony Walkman stiamo smettendo di incontrare persone
reali” dichiarava stizzito ai tempi del lancio il vicepresidente della Cbs
Records, sempre al Washington Post. “È come una droga: indossi le cuffie e
tagli fuori il resto del mondo”. È la maledizione di ogni grande salto
tecnologico, quello di incontrare la resistenza di una parte società legata
all’assetto precedente del mondo, ma sotto questo punto di vista il Walkman
divenne ben presto il paradigma di un mondo in veloce trasformazione. Nel 1984
il sociologo Shuhei Hosokawa pubblicò una ricerca dal
titolo The Walkman effect, in cui lo studioso
evidenziava l’evoluzione cognitiva scatenata dall’utilizzo del lettore
portatile, in grado di modificare l’ambiente urbano e le modalità di
interazione tra singoli e gruppi nell’atto di ascoltare musica.
Nella cultura pop
Col tempo il Walkman è diventato una vera e propria icona pop e grazie alla
sua versatilità è arrivando a permeare gran parte della cultura cinematografica
degli anni Ottanta. Ai cameo sul grande schermo del lettore
portatile sono dedicati diversi siti vecchi
quasi quanto internet e tra le sue apparizioni più notevoli troviamo veri e
propri cult del calibro di 9 settimane e 1/2, Terminator, Ghostbusters, Pretty
Woman, Footloose e il già citato Ritorno al
Futuro, nell’indimenticabile scena iniziale sulle note di The
Power of Love.
Insieme al Walkman, 40 anni fa la cultura di massa battezzava anche il mito
del Giappone come produttore di tecnologia ad alta qualità e dimensioni
ridotte, un culto vivo ancora oggi, seppur con la rinnovata concorrenza del
gigante cinese. Gran parte del merito va a Sony, che avrebbe rivissuto
fortune simili a quelle del Walkman solo nel 1994, con la PlayStation, e
che deciderà di mandare in pensione il suo prodotto di punta solo nel 2010,
molti anni dopo il definitivo superamento delle musicassette e alle soglie del
boom dello streaming musicale.
Quello del Walkman è il primo degli anniversari dedicati alle tecnologie
che hanno rivoluzionato il nostro modo di percepire l’intrattenimento, che per
un altro strano scherzo della storia hanno visto la luce sempre e soltanto nel
nono anno dei rispettivi decenni: la creatura marchiata Sony ha infatti
preceduto di dieci anni esatti il Nintendo Game Boy e di venti
il lancio di Napster. Simona Fontana https://www.wired.it/gadget/audio-e-tv/2019/06/04/walkman-40-anni-storia/
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