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sabato 11 luglio 2020

Lo Sapevate Che: Giorgio Ambrosoli, portò a galla un sistema di scatole cinesi per coprire operazioni occulte di denaro a danno dei creditori e dello Stato Italiano


Il senso del dovere, l'esempio e il sacrificio
Giorgio Ambrosoli nasce il 17 ottobre del 1933 a Milano da una famiglia borghese conservatrice e dalla evidente matrice cattolica: la madre è Piera Agostoni, mentre il padre è Riccardo Ambrosoli, avvocato impiegato presso la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nell'ufficio legale.
Gli studi
Cresciuto ricevendo un'educazione fortemente cattolica, Giorgio frequenta il liceo classico "Manzoni" della sua città; poco dopo, si avvicina a un gruppo di studenti monarchici, che lo inducono a militare nell'Unione monarchica italiana.
Nel 1952, concluso il liceo, decide di seguire le orme del padre e di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza; laureatosi nel 1958 alla Statale con una tesi sul Consiglio Superiore della Magistratura e l'esame da procuratore (in diritto costituzionale), comincia a fare pratica nello studio legale Cetti Serbelloni.
Le prime esperienze da avvocato
All'inizio degli anni Sessanta si sposa con Anna Lori, nella chiesa di San Babila. A partire dal 1964, si specializza in ambito fallimentare, e in particolare nelle liquidazioni coatte amministrative; per questo viene scelto per cooperare con i commissari liquidatori che si occupano della Società Finanziaria Italiana.
La Banca Privata Italiana
Nel 1968 diventa padre di Francesca, mentre l'anno successivo nasce Filippo; nel 1971, arriva anche il terzo figlio, Umberto. Nel settembre del 1974 Giorgio Ambrosoli viene nominato da Guido Carli - governatore della Banca d'Italia - commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, che il banchiere siciliano Michele Sindona aveva portato a rischiare il crack finanziario: compito dell'avvocato milanese è quello di analizzare la situazione economica derivante dagli intrecci tra finanza, politica, criminalità organizzata siciliana e massoneria.
Giorgio Ambrosoli riceve una relazione sulle condizioni della banca da Giovanbattista Fignon, direttore centrale del Banco di Roma a cui era stato assegnato il compito di garantire un prestito a Sindona e che era diventato amministratore delegato e vicepresidente della Banca Privata Italiana, che riuniva gli istituti di credito del banchiere siciliano.
Le indagini di Ambrosoli
La relazione di Fignon è tutt'altro che rassicurante, vista la gravità della situazione, e ricostruisce le numerose operazioni che avevano contribuito alla nascita e all'espansione del sistema societario di Sindona. Nominato quindi commissario liquidatore, Ambrosoli riceve l'incarico di dirigere la banca, e ha l'opportunità di scoprire e analizzare da vicino le intricate operazioni intessute dal finanziare di Patti, a partire dalla Fasco, la società controllante che rappresenta l'interfaccia tra le attività nascoste e quelle conosciute del gruppo.
L'avvocato lombardo si accorge delle numerose e gravi irregolarità commesse da Sindona, e soprattutto delle molte falsità che compaiono nelle scritturazioni contabili; si rende conto, inoltre, delle connivenze e dei tradimenti compiuti da vari pubblici ufficiali.
La resistenza alla corruzione
Nel frattempo, Ambrosoli inizia a subire tentativi di corruzione e pressioni che mirano a indurlo ad avallare documenti che testimonino la buona fede di Sindona, in modo da evitargli qualsiasi coinvolgimento sia civile che penale. Ambrosoli, pur essendo conscio dei rischi a cui sta andando incontro, non cede: nel febbraio del 1975, in una lettera indirizzata alla moglie Anna, le comunica di essere in procinto di effettuare il deposito dello stato passivo della Banca Privata Italiana, spiegandole di non avere timori nonostante i problemi che tale atto causerà a molte persone.
Nella missiva, l'avvocato Giorgio Ambrosoli dimostra di essere consapevole che tale incarico sarà pagato "a molto caro prezzo: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese". Quindi, Ambrosoli sottolinea come questo compito gli abbia creato solo dei nemici, che "cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria".
Il coinvolgimento dell'Fbi americana
Durante le sue indagini, l'avvocato scopre anche le responsabilità di Michele Sindona verso la Franklin National Bank, un istituto statunitense che versa in pessime condizioni economiche: per questo motivo le indagini non coinvolgono unicamente la magistratura italiana, ma addirittura l'Fbi.
Nuove minacce
Nei mesi successivi Ambrosoli, oltre ai consueti tentativi di corruzione, deve fare i conti con vere e proprie minacce esplicite: ciò non lo distoglie, in ogni caso, dall'intenzione di riconoscere la responsabilità penale di Sindona e di liquidare la banca. Avvalendosi del supporto politico di Ugo La Malfa e di Silvio Novembre (un maresciallo della Guardia di Finanza) come guardia del corpo, però non ottiene alcuna protezione dallo Stato, a dispetto delle minacce di morte ricevute.
Ambrosoli ha anche il sostegno del governatore di Bankitalia Paolo Baffi e del capo dell'Ufficio Vigilanza Mario Sarcinelli, ma entrambi nella primavera del 1979 vengono incriminati per interesse privato in atti d'ufficio e favoreggiamento personale nell'ambito della vicenda Banco Ambrosiano - Roberto Calvi.
In questo stesso periodo Giorgio Ambrosoli riceve numerose telefonate anonime di carattere intimidatorio da parte di un interlocutore dal forte accento siciliano, che gli ordina, in maniera sempre più esplicita, di ritrattare la testimonianza che aveva fornito ai giudici statunitensi che stavano indagando sul fallimento del Banco Ambrosiano (nel 1997, in occasione del processo a Giulio Andreotti, sarà rivelato che l'autore di quelle telefonate, che includevano anche minacce di morte, era il massone Giacomo Vitale, cognato del boss di mafia Stefano Bontate).
L'omicidio di Giorgio Ambrosoli
Nonostante il clima di tensione sempre più rischioso, Giorgio Ambrosoli continua a condurre la propria inchiesta, pur osteggiato da pressioni politiche evidenti. Tale ostinazione, però, gli costa cara.
La sera dell'11 luglio del 1979, mentre sta tornando a casa dopo avere passato qualche ora in compagnia degli amici, l'avvocato milanese viene avvicinato da uno sconosciuto davanti al portone di casa: l'uomo (William Joseph Aricò, un malavitoso americano pagato 115mila dollari da Sindona), dopo essersi scusato, gli spara quattro colpi 357 Magnum, che lo uccidono.
Ai funerali di Giorgio Ambrosoli non parteciperà nessuna autorità pubblica, a parte alcuni esponenti di secondo piano della Banca d'Italia. Venti anni più tardi, nel luglio del 1999 lo Stato si rifarà assegnandogli la Medaglia d'oro al valor civile in quanto "splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio".
Il ricordo
Negli anni sono stati numerosi i luoghi pubblici a lui intitolati, tra cui biblioteche e scuole. Nel 2014 Rai Uno trasmette una mini-serie tv in due puntate dal titolo "Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli, una storia vera" (regia di Alberto Negrin), con Pierfrancesco Favino nel ruolo del protagonista.

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