Coscienza civile del Bel Paese
Da quando Indro Montanelli è scomparso
la sua mancanza all'interno della cultura italiana si nota in maniera
importante; il ricordo della sua presenza sanguigna e amante della verità
riacutizza sempre più il dolore per la sua perdita. Montanelli era, oltre un
cane sciolto, un personaggio incapace di aderire ai luoghi comuni più
conclamati, l'ultimo vero inviato d'assalto, un esempio di quel tipo di giornalismo che sembra ormai scomparso, quello che produceva
storia nel suo farsi.
Nato il 22 aprile 1909 a Fucecchio, un
paesino a metà strada tra Pisa e Firenze, a sentire quanto disse lui stesso
crebbe con la passione del giornalismo scritta nel sangue, forse trasmessa dal DNA del
nonno, Giuseppe
Montanelli, anch'egli scrittore nonché politico.
Dopo aver conseguito due lauree, una in
giurisprudenza e l'altra in scienze politiche, emigra in Francia dove assunto
da "Paris Soir" inizia la sua carriera come reporter. Cresciuto e
plasmato però sotto l'egida del fascismo nel 1935 decide di partire e
arruolarsi nel ventesimo battaglione eritreo, esperienza raccontata in un
diario pubblicato e recensito in Italia in maniera entusiastica da Ugo Ojetti (un mostro sacro della carta stampata purtroppo
caduto nel dimenticatoio). Questa del diario è ancora la fase dello
"scrittore" Montanelli, in cui però si intravede già la stoffa del
grande testimone.
Intanto si reca in Spagna per il "Messaggero",
dove nei suoi resoconti si esprime senza peli sulla lingua contro il regime. Un
atteggiamento che non può piacere al regime nostrano che ne ordina il
rimpatrio, espellendolo non solo dal partito ma anche dall'albo professionale.
Come contropartita, forse nell'illusione di addomesticarlo, viene mandato
da Bottai a dirigere l'Istituto italiano di cultura in
Estonia per un anno. Tornato in Italia, gli viene riconsegnata la tessera di
giornalista, ma rifiuta di richiedere quella del Partito fascista.
E' in questo momento storico che nella
vita di Montanelli si affaccia il "Corriere della sera", il quotidiano diventato poi per lui una sorta
di seconda casa. L'allora direttore Aldo Borelli memore del contenuto e dello
stile del famoso 'Diari', e consapevole delle qualità ormai dimostrate dal
giovane inviato, lo vuole caparbiamente con sé nella sua scuderia. Mai
intuizione si è rivelata più azzeccata, se è vero che il legame fra Montanelli
e il quotidiano di via Solferino si è succeduto, pur con alti e bassi, per più
di quaranta anni.
In seguito numerose sono state le
testimonianze rese da questo acuto osservatore in una serie di reportages
divenuti memorabili e che lo hanno innalzato al rango di principe del giornalismo.
Poi va in Finlandia e Norvegia, e
proprio le corrispondenze sul conflitto russo-finlandese lo impongono
definitivamente come grande inviato. Nel 1944 finisce in prigione a San Vittore
per antifascismo e viene condannato a morte dai nazisti, ma scampa miracolosamente
alla fucilazione per intervento della madre, che riesce a far intercedere per
lui l'allora arcivescovo di Milano, cardinale Ildefonso Schuster (ma questo lo
scoprirà lui stesso solo qualche decennio dopo). La prigionia gli suggerisce
uno dei suoi libri più belli, "Il generale Della
Rovere", che tradotto in film da Roberto
Rossellini riceverà il Leone d'oro a Venezia.
Uscito da S. Vittore si rifugia in
Svizzera ma finita la guerra, torna al "Corriere della sera" come inviato. Tra i primi a giungere nella
Budapest insorta, Montanelli scrisse che non si trattava di ribelli borghesi,
ma di "comunisti antistalinisti", un'affermazione che gli attirerà gli
strali della sinistra italiana.
Dalle colonne del Corriere il gran
toscano ha giudicato negli anni l'Italia e gli italiani secondo un modello
interpretativo che era stato proprio di alcuni suoi maestri come Prezzolini,
il più ricordato e forse il preferito (anche per via di alcune affinità
caratteriali). Ma il giornalista, pur fustigando da par suo tutti i difetti
della gente italica e del suo stile, è sempre rimasto legato alla sua terra,
testimoniando negli anni indiscutibile fedeltà ed attaccamento sentimentale.
Dopo le amarezze subite per via della
conduzione orientata a sinistra del Corriere negli anni '70, quando direttore era
Piero Ottone, un Corriere che ormai il vecchio Indro
non riconosceva più come suo, nel 1974 fondò con l'ausilio di alcuni colleghi e
fuoriusciti del Corriere il "Giornale Nuovo", poi conosciuto
semplicemente come "il Giornale" (ma anche chiamato familiarmente
"il Giornale di Montanelli").
E' la stagione del
terrorismo, delle Br e anche Montanelli subisce
un'attentato, per fortuna non mortale: gli sparano alle gambe il 2 giugno del 1977, accanto ai giardini di via Palestro, a Milano. La
sua vecchia "casa", il Corriere, nel darne la notizia non lo nomina
neanche ma si limita a dedicargli una colonnina con l'indegno titolo di
"Gambizzato un giornalista".
Partito bene, con gli anni, però, anche
il Giornale cominciò a perdere copie, entrando in un'insanabile crisi
economica. Il quotidiano fu così rilevato da Silvio Berlusconi,
che lo portò di nuovo ad alti livelli. Ma con la discesa in campo sul terreno
della politica dell'imprenditore milanese vennero alla luce alcuni contrasti
fra quest'ultimo e il grande giornalista circa la linea editoriale. L'anarchico
Indro mai e poi mai avrebbe potuto piegarsi ad un diktat, da qualsiasi parte
venisse, e così, all'alba degli ottant'anni decise di buttarsi nella direzione
di un nuovo quotidiano "La Voce", espressione di una destra liberale
e anticonformista.
Purtroppo, nonostante le premesse, il risultato
non fu dei migliori. "La Voce" chiuse ufficialmente il 12 aprile del
1995. A quel punto prima decise di collaborare con la rete tv TMC, non senza
continuare a pubblicare sapidi editoriali sul Corriere, poi, con l'invenzione
de "La stanza di Montanelli", una rubrica basata sul dialogo con i
lettori, decise di tornare alla grande al centro del dibattito politico e
storico. Prima della Stanza l'allora direttore Paolo Mieli con
un gesto che lo stesso Montanelli disse di non aver mai dimenticato, gli offrì
la direzione del Corriere al posto suo, ma Indro forse ormai stanco preferì la
formula più rilassata della posta dei lettori.
Il grande giornalista si è spento domenica
22 luglio 2001 all'età di 92 anni, dopo essere stato ricoverato per tre
settimane in una clinica di Milano in seguito ad un malore.
Memorabile è rimasto il suo
necrologio-epitaffio scritto di suo pugno nello stile asettico che gli era
proprio quando parlava di se stesso ma per ciò stesso altamente commovente.
https://biografieonline.it/biografia-indro-montanelli
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