Il
19 luglio 1992, una domenica, all'altezza
del
civico 21 di via Mariano D'Amelio a Palermo, persero la vita il magistrato
Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela
Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto
fu l'agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in
gravi condizioni. Domani ricorre il 28° anniversario per una strage che seguì
soltanto di 57 giorni quella di Capaci. Indagini probabilmente lacunose,
processi su processi e depistaggi accertati non hanno restituito ancora la
verità su uno degli avvenimenti più inquietanti della storia moderna italiana.
Don Cesare Rattoballi, parroco di Palermo e confessore di Paolo Borsellino in
una vecchia intervista emersa dalle teche Rai, conferma che il giudice sapeva
di stare per morire.
Borsellino
sapeva dell'attentato imminente, sapeva che il tritolo era arrivato a Palermo e
lo sapevano anche i vertici del Comitato per l'Ordine e la Sicurezza ed i
Carabinieri del ROS che avevano ricevuto un'informativa. Eppure nessuno fece
nulla, non furono prese contromisure adeguate né il magistrato venne
allontanato da Palermo, magari anche contro la sua volontà.
Fu
solo mafia? Lo Stato, quello che Paolo Borsellino difendeva, non riuscì a
proteggere o non lo volle proteggere? A 28 anni di distanza, probabilmente,
nessuno ha il coraggio di rispondere processualmente a questa domanda. (Scritto
da Redazione3)
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