Fuoco intellettuale
Elias Canetti nasce il 25 luglio 1905 a
Ruscuk, in Bulgaria, da una famiglia sefardita che parla lo spagnolo del XV
secolo. Dopo la morte del padre, insieme ai due fratelli, segue la madre in
diverse città d'Europa: Zurigo, Francoforte, Vienna.
Nel 1938, dopo l'Anschluss, emigra a
Londra rimanendovi fino al 1971 quando decide di tornare a vivere a Zurigo, il
"paradiso perduto" della sua adolescenza, in cui morirà il 14 agosto
1994.
Durante la giovinezza, le relazioni e i
viaggi contribuiscono a formare il suo pensiero, ad affinare il suo spirito, ad
aprirlo al mondo, come pure a fargli prendere coscienza del ruolo del sapere in
quanto motore della libertà.
Nel 1931, due anni prima dell'avvento al
potere di Adolf Hitler, fa il suo ingresso nella scena letteraria con lo
sbalorditivo "Autodafè", il suo primo e unico romanzo, percorso da
venature malinconiche e capace di esplorare a fondo gli abissi della
solitudine, tema centrale del libro. Il protagonista è un intellettuale che
viene metaforicamente divorato dal rogo dei suoi centomila volumi, inevitabile
nemesi del mondo delle idee nei confronti del reale, punizione per l'uomo che
sceglie di essere "tutto testa e niente corpo": l'intellettuale
appunto.
Ma il fuoco del romanzo è anche una
chiara, preoccupata quanto visionaria anticipazione allegorica del
totalitarismo, premonizione dell'autodistruzione della ragione occidentale.
Sul piano espressivo, invece, non esiste
migliore illustrazione di quella "lingua salvata" rappresentata dal
tedesco, lingua che sua madre gli aveva insegnato per amore della Vienna
imperiale, e che per loro rappresentava il centro della cultura europea e che
Canetti cercherà di rivitalizzare alla luce dello "sfiguramento"
della stessa che a suo dire è stato operato col tempo.
Di notevole spessore è anche "Massa
e potere" (1960), saggio sulla psicologia del controllo sociale, in questo
assai affine, pur nei trentacinque anni di differenza, ad alcune tematiche di
"Autodafé".
Di rilievo è poi la straordinaria
autobiografia, uno dei documenti più intensi del Novecento che, divisa in più
volumi ("La lingua salvata", "Il frutto del fuoco" e
"Il gioco degli occhi") e uscita fra il 1977 e il 1985 lo consacrano
definitivamente come una delle voci più alte della letteratura di ogni tempo.
I giurati di Stoccolma se ne accorgono e
nel 1981 gli assegnano il più che meritato premio Nobel per la letteratura.
Ricevendo il premio, nel discorso di
ringraziamento, egli indica come suo "territorio" l'Europa di quattro
scrittori di lingua tedesca vissuti nell'Austria di un tempo: Karl Kraus, Franz Kafka, Robert Musil e Hermann Broch, di cui riconosce l'ampio debito,
così come nei confronti di tutta la tradizione viennese. Inoltre confesserà
apertamente che la passione per la lettura, il gusto per le tragedie
greche e i grandi autori della
letteratura europea ebbero un'influenza determinante sulla sua opera.
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