L’anniversario, la storia, le indagini mediche
di Adriana Bazzi
Anche i disastri ambientali lasciano un’eredità e la diossina di
Seveso ha la sua. Che cosa rimane oggi, a quarant’anni di distanza,
dell’incidente allo stabilimento chimico dell’Icmesa, da cui, il 10 luglio del
1976, si era sprigionata una nube tossica che aveva contaminato una vasta area
nella zona Nord della provincia di Milano? Evento che ha avuto un’eco mondiale
e qualcuno, allora, aveva parlato di una nuova Hiroshima.
Diossina che? si chiedono oggi i più giovani, non si dice d’Italia, ma di Seveso e dei paesi vicini che non sanno e ormai non sentono più raccontare quello che era successo, nonostante, nelle scuole della zona, iniziative per far conoscere la storia ce ne siano.
Eppure la memoria dovrebbe rimanere, perché l’incidente di Seveso ha avuto ricadute sulla salute delle persone, ha posto il problema dei rischi ambientali legati alla produzione di sostanze chimiche, ha contribuito all’emanazione di nuove leggi sugli impianti industriali, ha impegnato risorse importanti nella bonifica delle aree colpite, che oggi si rivelano sicure, e, infine, ha anche fornito qualche spunto per la ricerca scientifica.
Diossina che? si chiedono oggi i più giovani, non si dice d’Italia, ma di Seveso e dei paesi vicini che non sanno e ormai non sentono più raccontare quello che era successo, nonostante, nelle scuole della zona, iniziative per far conoscere la storia ce ne siano.
Eppure la memoria dovrebbe rimanere, perché l’incidente di Seveso ha avuto ricadute sulla salute delle persone, ha posto il problema dei rischi ambientali legati alla produzione di sostanze chimiche, ha contribuito all’emanazione di nuove leggi sugli impianti industriali, ha impegnato risorse importanti nella bonifica delle aree colpite, che oggi si rivelano sicure, e, infine, ha anche fornito qualche spunto per la ricerca scientifica.
Quel
10 luglio del 1976, fuori Milano
Flash back. Poco dopo le 12.30 del 10
luglio 1976, un sabato, succede qualcosa a un reattore della fabbrica Icmesa a
Seveso, 26 chilometri dal centro di Milano: si rompe un disco di sicurezza e
una nube di composti chimici tossici (il principale era, appunto, la diossina)
fuoriesce nell’ambiente e si diffonde nei territori dei comuni di Meda, Seveso,
Desio e Cesano Maderno. C’è chi ha parlato di quindici e chi addirittura di
trenta chilogrammi di diossina spruzzati nei dintorni. L’Icmesa (acronimo per
Industrie Chimiche Meda Società Azionarie) era un’industria di titolarità
svizzera che faceva parte dei gruppo Givaudan, poi acquisito dal gruppo Hoffman
La Roche. A Seveso-Meda produceva insetticidi e diserbanti.
Gli
Usa e l’Agente arancio contro i Vietcong
La
diossina è uno dei composti più cancerogeni conosciuti (ne esistono di vari
tipi, alcuni addirittura prodotti in natura, altri in seguito a reazioni
chimiche: il più pericoloso è identificato con la sigla Tcdd). Tanto per fare
un esempio, la diossina era contenuta nei defolianti, il famoso Agente Arancio,
utilizzati in quantità massicce dagli Americani nella Guerra del Vietnam per
distruggere le foreste e stanare i Vietcong, che combattevano contro il Governo
del Sud Vietnam, alleato con gli americani. Con conseguenze importanti sulla
popolazione civile e anche sui militari americani: malformazioni innanzitutto e
poi tumori. Ai giorni nostri rappresenta ancora un pericolo perché si libera
nei luoghi dove si inceneriscono i rifiuti: un’esposizione cronica può essere
correlata allo sviluppo di tumori, come ancora succede nella Terra dei Fuochi
attorno a Napoli. Ma ritorniamo a Seveso.
La
cloroacne e la morte di galline, anatre, oche
Nei primissimi giorni dopo l’incidente
sembrava non fosse successo nulla, tranne la comparsa di bruciori agli occhi e
alla gola, nausea, vomito e febbre, lamentati da alcune persone. Poi l’erba e
le foglie sugli alberi cominciarono a ingiallire, gli animali da cortile,
galline, anatre, oche, a morire e, infine, i bambini a presentare strane
pustole sulla faccia: era la cloroacne, anche quella un effetto della diossina.
Il Corriere della Sera dà notizia dell’incidente , in prima pagina, il 18
luglio del 1976 e titola : «Un gas misterioso che uccide piante e animali
invade un paese: quattordici bambini intossicati». L’articolo attacca così :
«Quattordici bambini intossicati da un gas e ricoverati in ospedale con sintomi
che ancora nessuno riesce a spiegare (si tratta di una specie di orticaria, poi
chiamata cloroacne, ndr), una grande moria di animali, la totale distruzione di
fiori, frutta e ortaggi….L’incidente è avvenuto più di una settimana fa, ma
soltanto ora si comincia a scoprire tutta la gravità».
Senza
web, ma il Time lo associò a Chernobyl
Molti articoli si susseguono nei giorni
successivi. Allora non esistevano é Sky News né la Cnn né i siti online dei
quotidiani per seguire in tempo reale la situazione, ma i media classici ne
hanno parlato in tutto il mondo, con qualche latenza all’inizio, ma con
attenzione crescente nei periodi successivi e a distanza di tempo. La
rivista Time,
in un articolo del 2010, in occasione dello sversamento di petrolio da una
piattaforma nel Golfo del Messico, ha stilato una classifica dei peggiori
disastri ambientali del secolo, inserendo l’incidente di Seveso dopo altri come
quello nucleare di Chernobyl (1986), la perdita di gas con i morti di Bophal in
India (1984) e il naufragio della petroliera Exxon Valdez nel golfo d’Alaska
(1989).
750
mila a rischio nella Zona A
Flash
back. Dopo un primo momento di incertezza successivo all’incidente, i medici e
le autorità sanitarie intervengono e cominciano a misurare la diossina nel
suolo ( l’unico modo che si aveva allora per poter determinare l’esposizione
degli uomini) e, in base a questo, vengono identificate due zone : la zone A,
quella più contaminata (circa 750 mila persone interessate che vengono evacuate
a fine luglio, inizio agosto) e la zona B, a minore rischio: ci vivevano 5000
persone che vengono invitate a seguire particolari regole che riguardavano
l’alimentazione e il comportamento nei luoghi di lavoro. I bambini vengono
allontanati dalla scuole locali. Nel tempo, poi, le persone sono rientrate
nelle loro case, le zone sono state bonificate e ha preso vita il Bosco delle
querce, nato sull’area A, quella più contaminata. Oggi i rischi di
contaminazione sono azzerati. Ma c’è, appunto, l’eredità. O le eredità: prima
fra tutte quella che riguarda la salute.
Mortalità
e tumori, gli studi
Le autorità sanitarie hanno, da allora,
tenuto sotto controllo la popolazione per anni, con l’intento di rispondere ad
alcune inevitabili domande: l’esposizione alla nube tossica ha determinato un
aumento di mortalità nella popolazione? La diossina ha provocato un aumento di
tumori nella popolazione? E poi: ci sono stati altri effetti collaterali
conseguenti all’incidente? E si sono riscontrate differenze fra la popolazione più
esposta (area A) rispetto a quella meno coinvolta (area B)? Un convegno,
organizzato dall’Ordine dei Medici di Monza e Brianza poco tempo, fa ha fatto
il punto su tutte le ricerche finora condotte (con la collaborazione
dell’Università di Milano Ca’ Granda Policlinico, i Comuni, le Asl, gli
Ospedali e gli Operatori sanitari del Territorio e dell’intera Lombardia) e ha
dato alcune risposte, benché preliminari.
40
anni di check up su 280 mila soggetti
Gli studi hanno coinvolto la popolazione
dell’area A, dell’area B e una terza, l’area R, ai margini. E i dati (raccolti
da anagrafi comunali, anagrafi degli assististi, Asl, Istat e ospedali) sono
stati confrontati con quelli della popolazione di altre zone limitrofe , ma
considerate sicure, cioè non colpite dalla nube. In totale sono state tenute
sotto controllo nel tempo, e cioè per quasi quarant’anni, 280 mila persone.
Secondo i risultati, aggiornati al 2012 (per quanto riguarda l’incidenza delle
malattie) e al 2013 (per la mortalità), né la mortalità per tutte le cause né
l’incidenza di tumori risultano aumentate nelle zone inquinate. Si è osservato,
però, che alcune neoplasie del sangue, appartenenti alla categoria dei linfomi
e delle leucemie, risultavano più frequenti nelle zone A e B, dove si sono contati
64 casi invece dei 44 attesi: venti in più, 4 in zona A, 16 in zona B. Fra
questi tumori si sono viste in particolare leucemie mieloidi e mieloma
multiplo.
La
nube tossica, le leucemie, i mielomi
«L’indagine – precisa Pier Alberto
Bertazzi direttore della Clinica del Lavoro dell’Università di Milano – ha
valutato tutte le cause di morte e ha dimostrato che la mortalità, nella
popolazione delle zone contaminate, è risultata, nel tempo, paragonabile a
quella di altre zone. Anche per quanto riguarda i tumori, non si è osservato,
in generale, un incremento. Rimangono quei venti casi in più di linfomi e
leucemie, comprese alcune forme di leucemie mieloidi e mieloma multiplo, ma si
tratta di 20 casi in trent’anni. Per i tumori in altre sedi, si è notato un incremento
per quelli del colon retto e della mammella per le donne, non particolarmente
significativo, ma importante sul piano pratico: per questi tumori esistono
validi programmi di screening a carico del sistema sanitario nazionale e il
suggerimento, per i residenti di queste zone, è quello di parteciparvi».
La
paura irrazionale dei mobili contaminati
Gli effetti a lungo termine, dunque, non
si sono rivelati così drammatici come si poteva sospettare all’inizio, sulla
base di quello che si sapeva degli effetti della diossina negli animali da
esperimento. Fra le cause non tumorali, invece, si è registrato un aumento di
malattie cardiovascolari, nel decennio 1976-1985, più a ridosso, cioè
dell’evento: in particolare patologie cardiache per gli uomini e ipertensione
per le donne nelle aree contaminate. «In realtà si tratta di pochi casi che
però vale la pena di commentare — aggiunge Bertazzi —. La diossina può avere
una certa tossicità sui vasi sanguigni, ma l’effetto vero della nube è stato il
disastro socioculturale ed economico. Le persone hanno dovuto abbandonare le
case, le aziende della zona non riuscivano più a esportare i loro prodotti, si
parlava di nuova Hiroshima, al momento non si riusciva a capire come si potesse
pensare a un futuro. Uno stress immenso. E tutto questo ha avuto ripercussioni
sulla salute delle persone». Racconta Luigi Losa, all’epoca giovane cronista,
poi direttore del giornale locale, Il
Cittadino di Monza, che al quarantesimo anniversario ha
dedicato un bellissimo numero monografico: «I mobili di Seveso venivano mandati
indietro dagli acquirenti per il timore che fossero contaminati».
La
normalizzazione e le cicatrici
Con il tempo la situazione si è
«normalizzata» e quegli effetti si sono diluiti. «Rimangono le cicatrici (vere,
sulla pelle, ndr) di chi ha sofferto di cloroacne — commenta Gaetano Maria
Fara, professore emerito di Igiene all’Università di Roma La Sapienza che
all’epoca, direttore dell’Istituto di Igiene a Milano, si era molto occupato
della vicenda di Seveso — . E molti sono stati gli aborti volontari, allora
autorizzati dalla Regione, che hanno impedito di capire che cosa stesse
veramente succedendo in termini di malformazioni». Rimangono altre due
questioni nell’ambito salute. La prima ha a che fare con il diabete, la seconda
con la fertilità. Secondo i dati della ricerca, presentata al convegno promosso
dall’Ordine dei Medici di Monza Brianza, si segnala un aumento di diabete di
tipo 2 soprattutto negli uomini nella zona B.
Diabete
e fertilità
«Per quanto riguarda il diabete, si
potrebbe pensare alla cosiddetta interferenza endocrina della diossina —
commenta Bertazzi — cioè alla capacità di questa molecola di intervenire
sull’equilibrio ormonale dell’organismo(il diabete è legato a una riduzione
della produzione di insulina, l’ormone che permette di utilizzare gli zuccheri,
ndr). Ma bisogna anche tenere conto delle modificazioni delle abitudini
alimentari della popolazione in questi anni che potrebbero giustificare
l’aumento di questa patologia». E per quanto riguarda la fertilità, ci sono
dati preliminari, presentati al convegno dell’Ordine da Paolo Mocarelli, già
direttore del Servizio di Medicina di Laboratorio dell’Ospedale di Desio, che
hanno evidenziato come gli uomini, nati fra il 1977 e il 1988 da donne
contaminate dalla diossina, hanno un numero inferiore di spermatozoi rispetto
al campione di riferimento, con maggiori problemi di infertilità. E che oggi
nascono più femmine. Ma anche questo dato andrebbe meglio messo in correlazione
con altre situazioni, perché oggi si sa che la produzione di spermatozoi è in
calo nella popolazione maschile e che certi «perturbatori endocrini», cioè
sostanze ormonali presenti nell’ambiente (diversi rispetto alla diossina),
possono incidere sulla fertilità.
L’Ue,
la Direttiva Seveso e il caso Ilva
Archiviato il capitolo salute, il più
importante per la popolazione (su cui «la sorveglianza non può cessare», dice
Fara) , ancora due o tre osservazione a proposito della «Seveso’s Legacy», come
direbbero gli anglosassoni, l’eredità appunto. La prima: in seguito
all’incidente, che ha avuto appunto un impatto mondiale, l’Unione Europea ha
stabilito nuove regole, riassunte nella «direttiva Seveso», recepita in Italia
nel 1988 e successivamente modificata, che esige, fra le molte cose, il
censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze
pericolose, l’esistenza di un piano di prevenzione e di emergenza per quanto
riguarda gli incidenti, il controllo dell’urbanizzazione attorno ai siti a
rischio e la creazione di un’autorità preposta all’ispezione dei siti a
rischio. Tutto interessante, ma dopo Seveso, noi dobbiamo ancora fare i conti
con l’Ilva di Taranto, l’industria siderurgica che, con le sue ultime vicende,
ha occupato la cronaca dei giornali per gli effetti sull’ambiente e sulla
salute delle persone.
Il
bosco delle querce
La seconda riguarda la bonifica,
effettuata con successo. Oggi il Bosco delle Querce, nato sull’area A, è un
parco regionale naturale che propone iniziative varie durante l’anno. Per
l’anniversario dei quarant’anni dal disastro diossina gli organizzatori hanno
previsto una cerimonia ufficiale che si terrà domenica 10 luglio, con un riconoscimento
per tutte quelle persone che si sono contraddistinte per le loro attività a
favore della comunità di Seveso. La terza ha a che fare con la ricerca
scientifica. E’ un tema complesso, ma vale la pena di citarlo.
Nuove
specie di topi resistenti al veleno
A Seveso, dopo il disastro, è nato
il mus sevesinus, un topo mai visto prima che è comparso nell’area
bonificata del Parco delle Querce, studiato da Carlo Alberto Redi
dell’Università di Pavia e accademico dei Lincei (il topo è un animale più simile
all’uomo di quanto non si creda e di solito oggetto delle sperimentazioni
cliniche). «Seveso è stato un esperimento naturale che ci ha permesso di
studiare la comparsa di nuove specie di animali sulla Terra, topi in
particolare — commenta Carlo Alberto Redi —. E’ come studiare, in poco tempo,
il concentrato dell’evoluzione delle specie e la comparsa, appunto, di nuove
specie , perché lì, a Seveso, si è creato una sorta di deserto». Tutto questo
non significa affatto che l’incidente di Seveso abbia creato«mostri», cioè topi
geneticamente modificati, assolutamente no, ma ha offerto un modello di studio
per gli scienziati che studiano l’evoluzione. Una ricerca di base che per ora
non propone risultati pratici, ma che ha un’enorme importanza per il futuro di
tutti. Seveso, alla fine, è diventato un grande laboratorio di ricerca.
Nessun commento:
Posta un commento