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martedì 29 ottobre 2019

Lo Sapevate Che: Il 1787, 231 anni fa, debutta a Praga Il Don Giovanni di Mozart


IL DON GIOVANNI DI MOZART
Il debutto di Praga

Il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart ebbe luogo il 29 ottobre 1787 a Praga, un lunedì di 231 anni fa.
Il mito della felicità praghese di Mozart, che nella città imperiale asburgica ormai germanizzata dopo i travagli della guerra dei Trent’anni fu onorato come non mai, si è certo alimentato del tono di certe biografie romanzesche e di novelle tardoromantiche come la pur godibilissima Il viaggio di Mozart a Praga di Eduard Mörike.
 Colta, appassionata, estranea agli intrighi della capitale, la città boema aveva effettivamente corteggiato, amato, stimato il salisburghese come nessun’altra lui vivo.
 E l’amore scoppiò quando una compagnia italiana decise di rappresentarvi le Nozze di Figaro nel dicembre 1786, riscuotendo un successo assai maggiore di quello di cui l’opera ispirata a Beaumarchais, complice anche uno sbadiglio dell’imperatore Giuseppe II, aveva goduto pochi mesi prima a Vienna.
A Praga, riportano cronache locali e riferisce lo stesso Mozart, non si cantava che il Figaro, non si parlava che del Figaro, non si andava all’opera se non per ascoltare Figaro e nient’altro che Figaro. 
 Fatto sta che, pressantemente invitato ad assistere a una recita, il musicista vi si recò per un mese, dall’8 gennaio all’8 febbraio del 1787, durante il quale assiste all’opera, ne dirige una recita, organizza una fortunatissima accademia a sottoscrizione che gli assicura un guadagno formidabile.
 Un trionfo, insomma, che se non è tale da togliergli il desiderio di tornare comunque presto a Vienna, è più che bastevole a fargli accettare, e di buon grado, la commissione d’un nuovo lavoro da rappresentarsi di lì a pochi mesi. Per il libretto il pensiero corre subito a Da Ponte, naturalmente, cui tanta parte si deve della riuscita del Figaro.
 Il problema è che il tempo è poco e che il librettista veneto è già impegnato a scrivere L’arbore di Diana per Martin y Soler e Axur, re d’Ormus per Salieri: se ne preoccupa persino Giuseppe II, cui nel frattempo è giunta l’eco del successo praghese di Figaro.
E a lui Da Ponte rivolgerà la celebre affermazione: «scriverò di notte per Mozart e farò conto di leggere L’Inferno di Dante; scriverò la mattina per Martini (sic) e mi parrà di studiare il Petrarca; la sera per Salieri e sarà il mio Tasso».
 In cuor suo infatti il letterato aveva già deciso quale soggetto affidare a Mozart, prendendo spunto non «dall’alto», cioè scomodando Moliere o Tirso de Molina, ma «dal basso», ovvero ispirandosi a un recentissimo libretto che Giovanni Bertati aveva scritto per la musica di Giuseppe Gazzaniga.
 Si trattava della Rappresentazione giocosa (tale il sottotitolo, trasformato da Da Ponte in Dramma giocoso) Don Giovanni Tenorio, o Il convitato di pietra ed era stato baciato dal successo a Venezia, quando fu rappresentato proprio all’inizio di quel 1787.
 Peccato che le fonti non permettano di stabilire quanta parte ebbe Mozart nel processo di riscrittura del soggetto; in ogni caso, se alcuni passi sono semplicemente parafrasati (valga per tutti l’Aria del catalogo di Leporello, che in Bertati si chiamava Pasquariello), diversi altri sono completamente nuovi, le maschere e alcuni personaggi minori cancellati (come il secondo servo Lanterna), e altri come Donn’Anna e Donna Elvira decisamente rafforzati.
Nasce comunque così l’idea di Don Giovanni: il tempo era poco (per Da Ponte ancor meno), Bertati e Gazzaniga avevano fatto centro e il soggetto, sia pure in forma di riduzioni spesso buffonesche, in quegli anni andava per la maggiore, come dimostrano le versioni di Gluck (1761) e di almeno altri cinque compositori minori attivi in Europa appunto tra gli anni Sessanta e Settanta del Settecento.
Una cosa che nacque come un gioco ma che Mozart prese maledettamente sul serio; vi lavorò infatti con tanta solerzia da presentarsi a Praga il 1o ottobre, partitura alla mano, pronto per il debutto nel frattempo fissato per il 14 di quel mese e che slittò, per problemi contingenti, di due settimane.
 Arriva anche Da Ponte a dargli manforte («ad istruir gli attori», dice nelle Memorie) ma gli impegni con Martin Y Soler e con Salieri gli impediranno di assistere alla «prima», che va trionfalmente in scena la sera del 29 ottobre.
In compenso, assiste allo spettacolo quel Giacomo Casanova che a Praga, ormai vecchio, andava terminando la propria parabola umana lavorando come bibliotecario presso il castello di Dux, al servizio del conte Waldstein (quello cui Beethoven dedicherà la Sonata per pianoforte in do maggiore).
 In altre parole, l’opera sul mito di Don Giovanni venne consumata al cospetto dell’uomo che più di chiunque altro in quell’epoca ne aveva incarnato le gesta libertine.
 Mozart ebbe un po’ a lamentarsi dei cantanti, ma apprezzò l’esecuzione musicale e la messinscena, affidata a quel Domenico Guardasoni che di lì a poco sarebbe stato scritturato come scenografo per il Teatro di corte della capitale.
E a proposito di Vienna, l’eco del nuovo successo di Mozart a Praga, giunse presto alle orecchie di Giuseppe II, alla cui curiosità si deve il fatto che l’opera, debitamente ritoccata dagli autori, debuttasse pochi mesi dopo anche a Vienna, il 2 maggio del 1788, iniziando così il suo lungo e ininterrotto cammino verso l’immortalità.

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