IL DON GIOVANNI
DI MOZART
Il debutto di
Praga
Il
Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart ebbe luogo il 29 ottobre 1787 a Praga,
un lunedì di 231 anni fa.
Il mito della felicità praghese di Mozart, che nella
città imperiale asburgica ormai germanizzata dopo i travagli della guerra dei
Trent’anni fu onorato come non mai, si è certo alimentato del tono di certe
biografie romanzesche e di novelle tardoromantiche come la pur
godibilissima Il viaggio di Mozart a Praga di Eduard Mörike.
Colta, appassionata, estranea agli intrighi della
capitale, la città boema aveva effettivamente corteggiato, amato, stimato il
salisburghese come nessun’altra lui vivo.
E l’amore scoppiò quando una compagnia italiana decise
di rappresentarvi le Nozze di Figaro nel dicembre 1786, riscuotendo
un successo assai maggiore di quello di cui l’opera ispirata a Beaumarchais,
complice anche uno sbadiglio dell’imperatore Giuseppe II, aveva goduto pochi
mesi prima a Vienna.
A Praga, riportano cronache locali e riferisce lo
stesso Mozart, non si cantava che il Figaro, non si parlava che del Figaro, non
si andava all’opera se non per ascoltare Figaro e nient’altro che Figaro.
Fatto sta che, pressantemente invitato ad assistere a
una recita, il musicista vi si recò per un mese, dall’8 gennaio all’8 febbraio
del 1787, durante il quale assiste all’opera, ne dirige una recita, organizza
una fortunatissima accademia a sottoscrizione che gli assicura un guadagno
formidabile.
Un trionfo, insomma, che se non è tale da togliergli
il desiderio di tornare comunque presto a Vienna, è più che bastevole a fargli
accettare, e di buon grado, la commissione d’un nuovo lavoro da rappresentarsi
di lì a pochi mesi. Per il libretto il pensiero corre subito a Da Ponte,
naturalmente, cui tanta parte si deve della riuscita del Figaro.
Il problema è che il tempo è poco e che il librettista
veneto è già impegnato a scrivere L’arbore di Diana per Martin y Soler
e Axur, re d’Ormus per Salieri: se ne preoccupa persino Giuseppe II,
cui nel frattempo è giunta l’eco del successo praghese di Figaro.
E a lui Da Ponte rivolgerà la celebre affermazione:
«scriverò di notte per Mozart e farò conto di leggere L’Inferno di
Dante; scriverò la mattina per Martini (sic) e mi parrà di studiare il
Petrarca; la sera per Salieri e sarà il mio Tasso».
In cuor suo infatti il letterato aveva già deciso
quale soggetto affidare a Mozart, prendendo spunto non «dall’alto», cioè
scomodando Moliere o Tirso de Molina, ma «dal basso», ovvero ispirandosi a un
recentissimo libretto che Giovanni Bertati aveva scritto per la musica di
Giuseppe Gazzaniga.
Si trattava della Rappresentazione giocosa (tale il
sottotitolo, trasformato da Da Ponte in Dramma giocoso) Don Giovanni
Tenorio, o Il convitato di pietra ed era stato baciato dal successo a
Venezia, quando fu rappresentato proprio all’inizio di quel 1787.
Peccato che le fonti non permettano di stabilire
quanta parte ebbe Mozart nel processo di riscrittura del soggetto; in ogni
caso, se alcuni passi sono semplicemente parafrasati (valga per tutti l’Aria
del catalogo di Leporello, che in Bertati si chiamava Pasquariello), diversi
altri sono completamente nuovi, le maschere e alcuni personaggi minori
cancellati (come il secondo servo Lanterna), e altri come Donn’Anna e Donna
Elvira decisamente rafforzati.
Nasce comunque così l’idea di Don Giovanni: il tempo
era poco (per Da Ponte ancor meno), Bertati e Gazzaniga avevano fatto centro e
il soggetto, sia pure in forma di riduzioni spesso buffonesche, in quegli anni
andava per la maggiore, come dimostrano le versioni di Gluck (1761) e di almeno
altri cinque compositori minori attivi in Europa appunto tra gli anni Sessanta
e Settanta del Settecento.
Una cosa che nacque come un gioco ma che Mozart prese
maledettamente sul serio; vi lavorò infatti con tanta solerzia da presentarsi a
Praga il 1o ottobre, partitura alla mano, pronto per il debutto nel frattempo
fissato per il 14 di quel mese e che slittò, per problemi contingenti, di due
settimane.
Arriva anche Da Ponte a dargli manforte («ad istruir
gli attori», dice nelle Memorie) ma gli impegni con Martin Y Soler e con
Salieri gli impediranno di assistere alla «prima», che va trionfalmente in
scena la sera del 29 ottobre.
In compenso, assiste allo spettacolo quel Giacomo
Casanova che a Praga, ormai vecchio, andava terminando la propria parabola
umana lavorando come bibliotecario presso il castello di Dux, al servizio del
conte Waldstein (quello cui Beethoven dedicherà la Sonata per pianoforte
in do maggiore).
In altre parole, l’opera sul mito di Don Giovanni
venne consumata al cospetto dell’uomo che più di chiunque altro in quell’epoca
ne aveva incarnato le gesta libertine.
Mozart ebbe un po’ a lamentarsi dei cantanti, ma
apprezzò l’esecuzione musicale e la messinscena, affidata a quel Domenico
Guardasoni che di lì a poco sarebbe stato scritturato come scenografo per il
Teatro di corte della capitale.
E a proposito di Vienna, l’eco del nuovo successo di
Mozart a Praga, giunse presto alle orecchie di Giuseppe II, alla cui curiosità
si deve il fatto che l’opera, debitamente ritoccata dagli autori, debuttasse
pochi mesi dopo anche a Vienna, il 2 maggio del 1788, iniziando così il suo
lungo e ininterrotto cammino verso l’immortalità.
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