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lunedì 14 ottobre 2019

Lo Sapevate Che: Cultura: 56 anni fa, nel 1962 Scoppia la crisi dei missili di Cuba





“Credevo fosse l’ultimo sabato che avrei mai visto”. Il ministro della Difesa dell’amministrazione Kennedy, Robert Mc Namara, commentò così il 27 ottobre 1962, il giorno in cui la Crisi dei Missili di Cuba raggiunse l’apice e il mondo fu a un passo dalla guerra nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Tredici giorni di tensione crescente alla fine dei quali, paradossalmente, la pace mondiale fu un filo più sicura. Tredici giorni che si sono a tal punto fissati nell’immaginario del mondo occidentale, che Stephen King in 22/11/93 (il capolavoro sull’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy) vi ha ambientato una delle scene madri del libro: il protagonista svela alla donna amata, terrorizzata dalla guerra che appare inevitabile, che non accadrà nulla e che lui lo sa, perché viene dal futuro.


Tutto cominciò alcuni mesi prima, quando l’Unione sovietica aveva iniziato l’installazione di missili capaci di trasportare testate nucleari a Cuba,  a meno di 150 chilometri dalle coste della Florida e in grado quindi di colpire tutte le città della costa orientale degli Usa (a cominciare da New York e Washington). A Cuba i barbudos di Fidel Castro (qui abbiamo ricordato i 90 anni del Lider Maximo) avevano preso il potere nel gennaio del 1959, scacciando il dittatore filo americano Fulgencio Batista. L’embargo deciso dagli Usa dopo che il governo de L’Avana aveva nazionalizzato le società a capitale estero e il fallito tentativo di invasione della Baia dei Porci avevano spinto l’isola nella braccia dell’Urss, in quel momento guidata da Nikita Kruscev. Il Paese era impegnato in una serie di schermaglie e provocazioni reciproche con gli Stati Uniti, in quella che sarebbe poi stata conosciuta come Guerra Fredda. Mosca aveva subito visto in Cuba la possibilità di pareggiare il bilancio strategico con gli Stati Uniti, il cui schieramento nucleare in Turchia minacciava molte città della Russia e di altre repubbliche sovietiche.
L’inizio ufficiale della crisi è fissato al 14 ottobre, quando un aereo spia americano U-2 (dello stesso tipo di quello abbattuto nei cieli sovietici nel 1960 la cui storia è raccontata ne Il ponte delle spie di Steven Spielberg) fotografò un missile in corso di installazione nell’isola caraibica. Kennedy, informato il 16 ottobre, riunì subito un comitato esecutivo (passato alla storia come ExComm) del Consiglio per la Sicurezza Nazionale che riuniva capi politici e militari e che ebbe un ruolo centrale nella gestione della crisi. Ne facevano parte tra gli altri, oltre al presidente, il ministro della giustizia (e fratello del presidente) Robert Kennedy, il vice presidente Lyndon Johnson, il segretario di Stato Dean Rusk, Mc Namara e il presidente del consiglio dei capi di Stato maggiore, il generale Maxwell D. Taylor.
La decisione di non permettere all’Urss l’installazione dei missili fu unanime. La posta in gioco era però altissima: se non sifosse trovato il modo di fermare lo spiegamento dei missili, il prestigio degli Stati Uniti e la sua leadership mondiale ne sarebbero stati irrimediabilmente compromessi e ciò era per la Casa Bianca inaccettabile. Ma un confronto spinto alle estreme conseguenze avrebbe fatto scoppiare una guerra mondiale tra potenze dotate di armamento nucleare. Contro il parere dei “falchi” militari (tra i quali si segnalava per la sua durezza il generale Curtis E. Lemay, capo di Stato Maggiore dell’aviazione e distruttore delle città giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale) Kennedy respinse l’opzione militare diretta, preferendo quella della “quarantena” navale di Cuba, con il divieto a navi di  qualunque nazionalità di avvicinarsi l’isola senza subire un’ispezione. Come fa notare il sito storico del ministero degli Esteri americano, il termine quarantena fu scelto apposta al posto di “blocco“, perché quest’ultimo prevede l’esistenza di uno stato di guerra.
Il popolo americano e il resto del mondo vennero a conoscenza della crisi in atto il 22 ottobre, quando Kennedy lo disse in un discorso in televisione, annunciando anche il blocco navale. I toni furono molto duri: “La politica di questa nazione sarà quella di considerare ogni missile nucleare lanciato da Cuba contro qualunque nazione dell’emisfero occidentale come un attacco lanciato dall’Unione Sovietica contro gli Stati Uniti, che provocherà una rappresaglia con ogni mezzo nei confronti dell’Unione Sovietica”. L’emozione e la paura, soprattutto in Usa, raggiunsero rapidamente livelli parossistici, con accaparramento di cibo  e carburanti. Un momento di svolta fu il 24 ottobre, con le navi sovietiche cariche di rifornimenti (probabilmente anche di materiale militare) che si avvicinavano al limite del blocco navale americano. Ma le navi fecero dietrofront e quelle che passarono, sottoposte a ispezione da parte degli americani, non contenevano materiale bellico. Era un successo della strategia kennedyana.


Tuttavia, come fa notare questo articolo su History.com, restava il problema dei missili già installati. L’apice della crisi si raggiunse sabato 27 ottobre, quando un altro U2 fu abbattuto sopra Cuba, mentre una forza di invasione era pronta a lasciare le coste americane per l’isola. Ma la Russia aveva già deciso di fare marcia indietro: un primo messaggio di Kruscev del 26 ottobre offriva di ritirare i missili se gli Stati Uniti avessero promesso di non invadere l’isola e un dispaccio successivo (le comunicazioni, anche se difficili, tra Washington e Mosca non si interruppero mai durante la crisi) offriva lo smantellamento dei sistemi di lancio già installati se gli Usa avessero fatto una mossa analoga in Turchia. Così avvenne (anche se l’opzione turca, a differenza della promessa di lasciare in pace Castro, non venne mai annunciata e accettata ufficialmente) e il 28 ottobre la crisi poteva considerarsi finita. Il blocco terminò il 20 novembre.
Studi successivi dimostrarono che sia Kennedy che Khruscev erano in realtà trattativisti (a differenza dei rispettivi entourage militari) e che il rischio maggiore nacque più dalla “nebbia di guerra” che aveva avvolto le rispettive decisioni che da una volontà vera e propria di combattere. Per evitare il ripetersi di altri confronti del genere, in cui le vicendevoli incomprensioni tra due sistemi politici e sociali tanto diversi come Usa e Urss avrebbero potuto giocare un ruolo mortale, nel 1963 fu installata la cosiddetta linea rossa o linea calda tra Washington e Mosca, in modo che i leader  potessero parlarsi direttamente in caso di eventi gravi.


La crisi di Cuba fu il momento forse più caldo della Guerra Fredda e anche il maggior trionfo del giovane presidente Kennedy (eletto nel 1960 a 43 anni). In seguito il mito di un Kennedy dai nervi d’acciaio che si confronta da solo con Kruscev e lo piega al suo volere è stato in parte smontato (qui per esempio un articolo dello storico della guerra fredda Michael Dobbs). Ma ormai la leggenda era nata. Per ironia della sorte i protagonisti della vicenda, che pure avevano evitato la guerra, furono “puniti” proprio per il loro comportamento durante la crisi. Due anni dopo un colpo di Stato incruento a Mosca, all’interno del Politburo, decretò la fine politica di Kruscev: uno dei motivi fu il danno arrecato al prestigio sovietico dall’esito della vicenda cubana. E a Miami un giovane comunista fu indignato per il modo con il quale Kennedy aveva umiliato Castro. Il suo nome era Lee Harvey Oswald. Avrebbe rivisto il presidente a Dallas, il 22 novembre del 1963, attraverso il mirino di un fucile dalla finestra di un deposito di libri.

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