Atteso Da Almeno cento milioni
di esseri umani, molti dei quali in fila da giorni, è arrivato l’ultimo totem
per il villaggio globale: l’iPhone X della Apple. Niente di misterioso in
quella X, solo la celebrazione in numeri romani del decimo anniversario
dell’iPhone lanciato da Steve Jobs: così dicono dalla Mela, ma mentono sapendo
di mentire. Per segnalare il decennale, avrebbero potuto benissimo chiamarlo
iPhone 10, come predecessori 6, 7 o 8. I geni del marketing hanno scelto la X
per lo stesso motivo che ha spinto i concorrenti della Microsoft a chiamare la
loro scatola da giochi Xbox e (nell’ultima edizione diffusa negli spessi giorni
dell’iPhone X, per tormentarci il Natale) addirittura XboxOneX. Tre X al prezzo
di una. Non è necessario essere geni dell’enigmistica e dei cruciverba per
notare la fissazione per una lettera-simbolo che, da secoli e mai come ora, è
uscita dal recinto dell’algebra per invadere i territori del commercio,
dell’immaginazione, del calcio e del sesso, pardon, del sex. La X vende, piace,
intriga, nella sua invadenza. L’epidemia di questa lettera (che, nel Medioevo,
l’alfabeto italiano aveva escluso, insieme con K e Y, presenti invece
nell’alfabeto latino) è naturalmente partita dagli Stati Uniti ed è un indizio
del dominio culturale anglofono. È ovunque e le femmine ne hanno pretese
addirittura due nei propri cromosomi, XX, lasciando a noi maschi l’umiliazione
di quella Y solitaria. S’insinua nella vita di ogni paziente, che ha
sicuramente inghiottito una pillola il cui nome conteneva una X o è stato
esposto ai raggi X. Ci sono almeno 50 farmaci da ricetta che la esibiscono, dal
tranquillante Xanax, che raddoppia per sembrare più efficace, all’antibiotico
Ciprofloxacina, somministrato a milioni di persone afflitte da infezioni delle
vie urinarie. Qualche linguista Usa ha cercato di spiegare l’attrazione con il
Cristianesimo, partendo dalla croce che i Romani usavano per uccidere i nemici
più pericolosi e che era fatta appunto a X, e non a T come nell’iconografia
ufficiale. Ma non c’è nulla di mistico in banali varietà musicali come X factor, copiato anche in Italia. Dubbi
religiosi riaffiorano in dicembre, quando gli americani, sempre impazienti,
abbreviano Christmas, Natale, in XMas. Ma poi si sprofonda nel prosaico
esercizio del voto, che utilizzò quel segno affinché anche gli analfabeti
potessero manifestare sulle schede le scelte politiche. Resta in esso sempre il
brivido del mistero, dell’incognita, come nelle equazioni o nella fantascienza
della serie X-Files. Sa di frutto proibito, nei film porno classificati come
XXX o nei commerci erotici, in quei Sex Shop che, se si chiamassero “botteghe
del sesso”, farebbero ancora più schifo. Diventa il richiamo alla morte e alla
ferocia dei pirati, con le ossa incrociate a forma – che altro? – di X sotto il
teschio. È uno dei molti simboli satanici, ma anche di tenerezza, nella
scenografia da chat o da sms, dove sta per “baci”, insieme con O, per
“abbracci”: XOXO, “ti mando baci e abbracci”. Tende a essere estremista
nell’abbigliamento, con le taglie XS, XL o addirittura, aiuto! XXL. Anche
l’immagine che guardiamo sul televisore, sul computer, o sullo schermo dello smartphone
paga un tributo, essendo formata da pixel. Non ha colpe, né meriti questa
lettera prepotente, immigrata senza autorizzazione fra di noi, ma qualche
segreta e scaramantica influenza negativa forse sì. Soltanto uno. Fra 145
presidenti degli Stati Uniti in 200 e più anni, ha osato avere una X nel
proprio nome, Richard Nixon. Finì infatti, primo e unico dimissionario nella
storia, crocefisso alla vergogna delle proprie colpe.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica 25
novembre 2017 -
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