Il tema che desidero trattare sull’Espresso di questa
settimana è l’esame di alcuni sentimenti che a me sembrano assai importanti
nella cultura, quella poetica e quella letteraria. Ma anche della massima
importanza per chi ha un pensiero che pensa se stesso e che si trasforma in
scrittura dotandosi di uno stile particolare e assolutamente personale. A me, che penso
e scrivo (bene o male che sia giudicato) da tutta una vita, e soprattutto da
almeno quarant’anni anche oltre il giornalismo, interessa oggi affrontare
alcuni sentimenti che hanno ispirato di poetica o di tutte queste forme messe
insieme. I sentimenti che alimentano un grande scrittore, i suoi contenuti, il
suo stile e soprattutto la sua vita e l’anima sua, sono secondo me la
malinconia, la sorpresa, la solitudine, l’amore, l’indifferenza rispetto a
quanto non è creativo. Infine una capacità metamorfica. In sostanza un Io molto
variabile, che spesso scompare per lasciare allo scrittore-artista la capacità
di confondersi con i personaggi che abbiano la capacità autonoma di creare il
loro creatore. Non tutti i grandi scrittori appartengono al genere qui
descritto. Se ci limitiamo alla modernità credo che i maggiori di questo tipo
siano Tolstoj, Gogol, Cechov, Dostoevskij, Brodskij, Kafka, Berlin, Proust,
Joycem Stendhal, Leopardi, Manzoni, Svevo, Kundera e, primo tra i primi, Rilke.
Non ho qui lo spazio né la voglia di fare la storia di questi grandi della
letteratura europea, ai quali aggiungo anche Poe. Perciò mi limiterò a un
accenno all’opera di Rainer Maria Rilke. Ricordo però che tra i più moderni,
c’è Pessoa e per quanto riguarda la letteratura italiana Calvino, Ungaretti e
Montale. Tra le tante opere poetiche di Rilke, a cominciare dalle “Elegie
duinesi”, c’è la splendida cantata di “Orfeo. Euridice. Hermes”. Mi permetto di
invitarvi a leggerla o rileggerla. Io la lessi a trent’anni e poi l’ho riletta
a settanta, infine tre giorni fa e mi ha dato ogni volta una diversa immagine.
Molto dipende dal nostro cambiamento e anche da quello della cultura generale.
Comunque, quale siano le nuove interpretazioni, quei testi sono un miracolo di
pensiero. La cantata di Orfeo potrebbe essere avvicinata all’”Oleandro” che fa
parte dell’Alcyone dannunziano e racconta del rapimento di Apollo verso Dafne.
Furono scritti più o meno nella stessa epoca ma Rilke ha una potenza poetica
molto maggiore. Ne trascrivo un breve brano con la diversità del paesaggio.
“V’erano rocce
Boschi spettrali. Ponti sopra il vuoto
E quello stagno grande, grigio, cieco
Che incombeva sul suo letto remoto
Come cielo piovoso su un paesaggio.
E la striscia dell’unico sentiero,
scialba tra prati, facile e paziente,
pareva lino steso a imbiancare
Per quell’unica via i tre venivano”.
In uno spazio come
questo, citare i
moderni autori anglosassoni sarebbe stato impossibile. Mi limito però a pochi
versi di un grande poeta. W. H. Auden.
“incantatori!
Io vi sfido a combatterli
Spregio il vostro potere:
gli incantesimi
non potranno mai batterli.
Ecco che Don Chisciotte
Della Mancia
Vi farà tutti a pezzi e riuscirà
Per sempre a sterminarvi”
Non è anche questo un grande poeta? Anche lui merita d’essere
letto e riletto. E vi raccomando Pessoa, che canta con grande passione quella
che lui chiama “La virtù dell’indifferenza”. Lui creava un personaggio che ne
inventata un altro e quest’altro, un altro ancora. Una fila, ognuno dei quali
creava un altro. L’ultimo creò lui, Fernando Pessoa, che fu colmo di stupore e
anche di gioia.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 10
dicembre 2017 -
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