Quando Si Parla di “fine vita” una delle immagini che
mi torna più spesso alla mente è quella di una ragazza giovane con un gran
sorriso, il viso incorniciato da una folta chioma di capelli neri. A fare da contraltare
a questa immagine così piena di vita c’è lo sguardo sempre assorto e
determinato del padre, Beppino, che abbiamo imparato a conoscere da quando, nel
1999, ha intrapreso una battaglia di libertà e dignità per quella sua unica
figlia, condannata da un grave incidente stradale a trascorrere il resto della
sua esistenza in stato vegetativo. Ho letto e ascoltato spesso le sue parole e,
tutte le volte, mi hanno lasciato un nodo alla gola al pensiero del doppio
dolore che quest’uomo, insieme alla sua famiglia, ha vissuto. Alla sofferenza
per la consapevolezza che quel sorriso sarebbe diventato un indimenticabile
ricordo, si è aggiunta quella di vivere in un Paese che lo privava degli
strumenti necessari a garantire per sua figlia la “fine” che lei stessa, come
hanno dimostrato le testimonianze di chi la conosceva, riteneva per sé più
dignitosa: la sospensione di ogni forma di terapia. La storia di Eluana
Englaro, quelle di Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Dj Fabo e migliaia di
altre meno conosciute, ma altrettanto degne di considerazione, sono lo specchio
di un Paese vittima da anni della ricerca di un compromesso politico sul fine
vita, incapace perfino di regolare il cosiddetto testamento biologico. Mentre
la politica, in Parlamento, era paralizzata da veti incrociati, il tema è stato
delegato ai Tribunali che, investiti di casi spesso strazianti, si sono trovati
a essere “legislatore” loro malgrado. Ma, nel nostro sistema, sola la legge può
dettare la regola generale e astratta valida per tutti. Im sua mancanza vige
l’incertezza. Le condotte, le scelte e la libertà di decidere di ciascuno di
noi sono rimesse alla sorte, alla sensibilità di chi ci è vicino nei momenti di
massima fragilità e alle scelte del magistrato eventualmente coinvolto. Norme
che assegnano un valore legale e vincolante alle volontà del paziente sono
ampiamente diffuse in Europa e nel mondo. Recentemente, insieme ai Senatori a
vita Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia, ho lanciato un appello per
sollecitare la politica su questo tema, che ha a che fare con la difesa dello
spazio di libertà incomprimibile che appartiene a ognuno di noi.
Sull’accanimento terapeutico e il fine vita, anche Papa Francesco ha
riconosciuto nel paziente, capace e competente, il soggetto che giudica l’effettiva
proporzionalità delle cure proposte dal personale medico. L’approvazione del
disegno di legge sul testamento biologico da parte della Camera dei deputati è
arrivata nel maggio scorso, a valle di un intenso lavoro di cui non si deve
fare carta straccia. Per più di cinque mesi quel testo è rimasto impantanato in
Senato, tra i rinvii e le migliaia di emendamenti in Commissione Sanità, per
poi essere “sbloccato” e rimesso nelle mani dei Capogruppo che, mentre scrivo,
stanno decidendo se e quando calendarizzarlo in Aula. Mentre il resto del mondo
sviluppato discute ormai delle forme di regolazione dell’eutanasia. tema più
controverso, ma ugualmente sentito da una maggioranza della popolazione, come
testimoniano drammaticamente le decine di persone che ogni anno partono
dall’Italia per accedere al suicidio assistito in Svizzera – il nostro Paese
potrebbe restare orfano, se non si approfitta degli ultimi scampoli di questa
legislatura, di quella che è ormai la soglia minima del diritto fondamentale
all’autodeterminazione.
Elena Cattaneo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 2
dicembre 2017 -
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