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lunedì 4 dicembre 2017

Lo Sapevate Che: Fate l'amore (protetto) ma pure il test, l'Hiv si combatte così...



In Italia una persona su quattro tra quelle che hanno contratto il virus HIV non sa di essere sieropositiva. L’effetto è che spesso la diagnosi avviene quando la malattia è già in fase conclamata, e questo riduce l’efficacia delle terapie. A lanciare l’allarme, in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, che celebra i trena anni di impegno con la compagna Noi possiamo. Lo scopo è ricordare che i sieropositivi sotto trattamento non sono contagiosi e possono vivere una vita normale. Ma per iniziare la cura bisogna prima scoprire la malattia, e qui c’è ancora molto da fare: la Lila offre test salivari gratuiti e anonimi presso le sue sedi d’elenco è su Lila.it). La refrattarietà al test è un problema in tutta Europa, ancora più serio per le persone di mezza età che per i giovani: uno studio pubblicato su The Lancet Hiv in ottobre mostra che, tra il 2004 e il 2015, il 63 per cento dei nuovi casi tra gli over 50 sono stati diagnosticati troppo tardi, quando il sistema immunitario era già indebolito. E non basta. “La prevenzione via preservativo, la sola sicura al cento per cento, è oggi trascurata dalla maggior parte delle persone, e in particolare dai giovani, indifferenti al rischio” spiega Adriano Lazzarin, primario della clinica malattie infettive del San Raffaele di Milano. “Il crollo nella prevenzione è un frutto malato dei progressi nelle cure. L’idea che di Aids non si muoia più ormai è nel senso comune, ma è un mito: oggi un sieropositivo su due arriva alla prima diagnosi con meno di 350 linfociti T CD4, ed è quindi immunodeficiente. Se la diagnosi è tardiva, si può ricadere in quel 2 per ceno di casi in cui il virus diventa resistente ai farmaci e conduce alla morte”. Tra i fattori che dissuadono le persone a sottoporsi ai controlli c’è o stigma ancora vivo, verso i sieropositivi. “ma oggi è più immotivato che mai” spiega Lazzarin. “Più del 90 per cento dei sieropositivi sotto trattamento non possono trasmettere l’infezione perché sono a viremia negativa, vale a dire hanno un numero di copie del virus inferiore a 50. Considerare i “sieropositivi noti” come degli untori è assurdo: lo dimostra lo studio europeo Partner, pubblicato l’anno scorso, che ha osservato 1.1.66 coppie (sia eterosessuali che omosessuali) formate da un partner con Hiv trattato e un partner sieronegativo. Sui 58 mila rapporti senza preservativo, nell’arco di sei anni, non è stata registrata nessuna infezione. A poter contagiare gli altri non è chi sa di essere sieropositivo ed è quindi in cura, ma chi non sa di esserlo”. Ma questi ultimi, si diceva, sono tanti, e il virus prosegue il suo cammino: l’ultimo bollettino, per il 2016, dell’Istituto superiore della sanità fotografa 5,7 nuovi casi ogni centomila residenti (3.451 in tutto, situazione stabile), con un’incidenza maggiore nella fascia 25-29 anni. L’85,6 per cento delle nuove infezioni sono dovute a rapporti sessuali.
Giuliano Aluffi Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 1 dicembre 2017 -

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