In Italia una persona su quattro tra
quelle che hanno contratto il virus HIV non sa di essere sieropositiva.
L’effetto è che spesso la diagnosi avviene quando la malattia è già in fase
conclamata, e questo riduce l’efficacia delle terapie. A lanciare l’allarme, in
occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, che celebra i trena anni di
impegno con la compagna Noi possiamo.
Lo scopo è ricordare che i sieropositivi sotto trattamento non sono contagiosi
e possono vivere una vita normale. Ma per iniziare la cura bisogna prima
scoprire la malattia, e qui c’è ancora molto da fare: la Lila offre test
salivari gratuiti e anonimi presso le sue sedi d’elenco è su Lila.it). La refrattarietà al test è un
problema in tutta Europa, ancora più serio per le persone di mezza età che per
i giovani: uno studio pubblicato su The Lancet Hiv in ottobre mostra che, tra
il 2004 e il 2015, il 63 per cento dei nuovi casi tra gli over 50 sono stati
diagnosticati troppo tardi, quando il sistema immunitario era già indebolito. E
non basta. “La prevenzione via preservativo, la sola sicura al cento per cento,
è oggi trascurata dalla maggior parte delle persone, e in particolare dai
giovani, indifferenti al rischio” spiega Adriano Lazzarin, primario della
clinica malattie infettive del San Raffaele di Milano. “Il crollo nella
prevenzione è un frutto malato dei progressi nelle cure. L’idea che di Aids non
si muoia più ormai è nel senso comune, ma è un mito: oggi un sieropositivo su
due arriva alla prima diagnosi con meno di 350 linfociti T CD4, ed è quindi
immunodeficiente. Se la diagnosi è tardiva, si può ricadere in quel 2 per ceno
di casi in cui il virus diventa resistente ai farmaci e conduce alla morte”.
Tra i fattori che dissuadono le persone a sottoporsi ai controlli c’è o stigma
ancora vivo, verso i sieropositivi. “ma oggi è più immotivato che mai” spiega
Lazzarin. “Più del 90 per cento dei sieropositivi sotto trattamento non possono
trasmettere l’infezione perché sono a viremia negativa, vale a dire hanno un
numero di copie del virus inferiore a 50. Considerare i “sieropositivi noti”
come degli untori è assurdo: lo dimostra lo studio europeo Partner, pubblicato
l’anno scorso, che ha osservato 1.1.66 coppie (sia eterosessuali che
omosessuali) formate da un partner con Hiv trattato e un partner sieronegativo.
Sui 58 mila rapporti senza preservativo, nell’arco di sei anni, non è stata
registrata nessuna infezione. A poter contagiare gli altri non è chi sa di
essere sieropositivo ed è quindi in cura, ma chi non sa di esserlo”. Ma questi ultimi,
si diceva, sono tanti, e il virus prosegue il suo cammino: l’ultimo bollettino,
per il 2016, dell’Istituto superiore della sanità fotografa 5,7 nuovi casi ogni
centomila residenti (3.451 in tutto, situazione stabile), con un’incidenza
maggiore nella fascia 25-29 anni. L’85,6 per cento delle nuove infezioni sono
dovute a rapporti sessuali.
Giuliano Aluffi Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 1
dicembre 2017 -
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