Era Luglio Del 2003 quando, sono la calura schiacciante
della prateria texana, entrai in un emporio – l’unico – di un paese chiamato
Crawford per ingannare il tempo. In quell’estate aspettavamo che finisse l’incontro
fra George W. Bush e Silvio Berlusconi, nel finto ranch che l’americano aveva
comperato per fare la scena del rude cowboy.
Crawford, paesino con un solo incrocio di strade polverose, un semaforo
giallo lampeggiante che penzolava nel vento e un binario per i lunghi treni
merci, l’attrazione era quel negozio in perfetto stile western, nel quale si
vendeva di tutto, dai fagioli in scatola alle armi. Sotto una vetrinetta,
sinistre e seducenti, almeno venti fra pistole automatiche e revolver a tamburo
mi invitavano. “Vorrei comperare questa”, dissi alla proprietaria, Rose,
colpito da una piccola, cromata, lucida calibro 22. Me la rigirai tra le dita:
era leggera e micidiale. “Quanti giorni resterà a Crawford?”, mi chiese Rose.
“Due”. “Ah peccato, ne servono tre per i controlli del maledetto Fbi. Ma se
proprio avessi voluto armarmi, la soluzione c’era. A pochi chilometri, nella
città di Waco, si era aperto un mercato di armi cosiddette “usate”, in realtà
nuovissime, vendute legalmente da privato a privato, senza controlli. Mi scossi
dall’incantesimo. Per la prima volta, dopo aver scritto troppe volte di stragi,
avevo toccato con mano quanto facile scavalcare le limitazioni, armarsi e dare
il via alla catena della violenza. Perché è nel cammino di una pistola
comperata con le più onorevoli intenzioni, nella speranza di difendere la
propria famiglia, la propria casa, se stessi, che si snoda il sentiero delle
stragi. E ne basta una, che passi di mano in mano, per distruggere molte vite.
A Washington, attraverso rapporti di polizia e documenti di processi, è stato
ripercorso il viaggio di una di esse, una Glock 17, una delle automatiche più
diffuse. Il 28 luglio del 2014 fu venduta per 325 dollari da un armaiolo della
Virginia. Il cliente, incensurato, superò i controlli e firmò che l’arma
sarebbe sempre stata sua. Una settimana più tardi, la Glock 17 era già nelle
mani dell’amico che l’aveva accompagnato al negozio, per essere usata in una
sparatoria fra bande rivali. Morirono tre persone e cinque furono gravemente
ferite. Due mesi dopo era passata a un altro, che sparava ad automobilisti di
passaggio. Colpì una donna: pur ferita cercò di inseguirlo in auto, prima di
perdere i sensi. Settimane più tardi, la Glock 17 era lo strumento di un
rapinatore che assaltò una stazione di servizio. E un anno dopo il primo
acquisto, fu usata di nuovo per sparare a un agente di polizia in borghese, che
si lanciò all’inseguimento di colui che aveva sparato. Non lo prese, ma il
criminale si sbarazzò dell’arma gettandola sotto un’auto in sosta, dove fu
ritrovata. In un anno quella pistola automatica aveva avuto diversi
proprietari, ucciso e ferito più vittime, e compiuto una rapina. Era diventata
una della 600mila armi da fuoco che ogni anno vengono smarrite, rubate,
prestate o rivendute a individui diversi da coloro che erano stati autorizzati
a comprarle. Un’armeria con dimensioni da esercito. Mettere in circolazione una
pistola, anche se innocentemente acquistata, significa alla fine alimentare
l’insicurezza e la violenza che, viceversa, si vorrebbero prevenire. Devo
essere grato a George W. Bush, che limitò a due giorni il soggiorno di
Berlusconi, e a Crawford che non mi diede il tempo per commettere la
sciocchezza di comperare un’arma. L’arma del negozio di Rose che, lo ricordo
bene, era una Glock.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 9
dicembre 2017 -
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