Il PD IN SICILIA HA
PERSO. Il motivo principale di questa sconfitta è la
disaffezione per la sinistra che ha tradito tutti. A cominciare da noi, i più
anziani, che abbiamo creduto nell’ideologia comunista, al cui ideale di una
società più giusta e sana abbiamo ideato i migliori anni della nostra
giovinezza, senza alcun tornaconto personale. La sinistra è riuscita a
calpestare i nostri sogni e la fiducia che le promesse fatte agli “ultimi” si
concretizzassero davvero. La sinistra ha tradito se stessa e il suo popolo. Ha
vanificato il sacrificio di tutti i galantuomini di Sicilia che non hanno
esitato un attimo a immolare la loro stessa vita per non cedere ad alcuna
collusione e alle nefaste lusinghe della piovra mafiosa. Peccato per tutti no
che ancora vogliamo credere nell’onore di una stretta di mano, nel valore di
una parola data, nella possibilità di ridare dignità e giustizia alla nostra
meravigliosa terra. Per creare un futuro migliore, soprattutto per i nostri
giovani.
Tendo A Non Rispondere a lettere che parlano di politica per
non aggiungere anche questa pagina alle molte che i giornali giustamente
dedicano all’argomento. Inoltre, com’è nello stile di questa rubrica, non
rispondo direttamente alla sua lettera, ma provo ad alzare lo sguardo oltre la
nostalgia-risentimento che lei nutre, come me del resto, per il declino della
sinistra, che non è stata all’altezza dei rapidi e radicali cambiamenti subiti
da un mondo sempre più globalizzato. La globalizzazione ha subordinato la
politica all’economia, che ha eretto il mercato a misura di tutte le cose.
Anche l’arte, giusto per fare un esempio, diventa arte quando entra nel
mercato, altrimenti resta una pura e semplice espressione biografica. Noi
occidentali abbiamo esportato il mercato in tutto il mondo e, insieme con il
mercato, abbiamo tentato di esportare anche la democrazia e i diritti umani.
Sacrificandoli subito entrambi, non appena ci rendiamo conto che potrebbero
confliggere con gli interessi del mercato stesso. Dopo aver eretto il denaro a
generatore simbolico di tutti i valori, il mercato ha eretto una cultura più
confacente alla destra che alla sinistra, come dimostra la vittoria di Trump in
America e l’avanzamento delle forze reazionarie in Europa. La sinistra ha
cercato di porre un freno con uno strumento vecchio, o per lo più invecchiato,
come la contrapposizione di classe, nonostante gli scioperi e le
rivendicazioni, non ha prodotto alcun effetto significativa per i ceti meno
abbienti. La ragione è ben illustrata da Hegel, secondo il quale la lotta di
classe è possibile, e può essere anche vittoriosa, quando c’è un conflitto tra
due volontà. Nel linguaggio di Hegel, la volontà del servo e la volontà del
signore. Così è stato, per esempio, nel Sessantotto, quando la volontà del
signore era metaforicamente rappresentata da Gianni Agnelli e la volontà del
servo dalla classe operaia. Oggi, sia la volontà del servo, sia quella del
signore sono sulla stessa linea e hanno come controporte il mercato con la sua
ferrea razionalità, che prevede unicamente il raggiungimento del massimo dei
profitti con l’impiego minimo dei mezzi. Come ci si può opporre al mercato? Il
mercato è nessuno. Anche se il filosofo Romano Madera fa notare che già Omero
segnalava che Nessuno è sempre il nome di qualcuno. Ma dove si trova questo
qualcuno e come si può condizionarlo? Il risultato è che ormai il mercato e la
razionalità che lo governa sono vissuti dall’inconscio collettivo come leggi di
natura. Sempre per ragioni di mercato, abbiamo ridotto la terra a semplice
materia prima da sfruttare fino all’usura. Ma, essendo questo problema troppo
grande rispetto agli orizzonti ristretti in cui abitualmente si muove la
politica, la sinistra non se ne è mai veramente occupata. Anche se poi oggi è
costretta a farsi carico delle sue conseguenze, come nel caso dei migranti
economici che giungono da noi per fame anche a seguito, se non soprattutto,
della desertificazione crescente delle loro terre. Infine, a differenza della
destra il cui collante è costruito, soprattutto in Italia, dagli interessi e
dai privilegi da difendere, la sinistra, nelle sue espressioni migliori, ha
degli ideali. E sugli ideali ci si divide, ci si contrappone con una passione
ce spesso acceca, preferendo la testimonianza alla responsabilità, che chiede
al politico di governare. E di sapere che il governo non è mai l’attuazione di
un ideale puro, bensì la continua mediazione fra ideali che accettano di
rinunciare in parte alla loro purezza per trovare il consenso necessario a
costruire una maggioranza. La destra, divisa su tutte le proposte ideali ci
riesce. La sinistra no. Ma l’ideale che non diventa mai reale finisce con
l’evaporare nell’inconsistenza di un sogno. Che al risveglio svanisce.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 2 dicembre
2017 -
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