Scrivo questa lettera spinta dalla tristezza per il mio Bel Paese che affonda senza rimedio. Ho
la fortuna di essere una “mezzosangue”, di padre italiano e madre tedesca, di
essermi formata in Inghilterra (laurea, specializzazione e dottorato), e di
aver creato una famiglia con un messicano. Parlo cinque lingue e lavoro con
nord americani. Eppure ho scelto di tornare a vivere a Roma. Per “la bellezza
che salverà il mondo”, come scrisse Dostoevskij, e perché nel cuore mi sento
più italiana che cittadina del mondo. Vedo però il mio Paese, deturpato
dall’incuria, dell’individualismo, dalla mancanza di rispetto e senso civico.
Mi rammarico evitando gli escrementi canini sul marciapiede, i ratti putrefatti
in pieno centro, i cumuli di spazzatura e plastica. Com’è possibile tutto
questo nella Roma Caput Mundi che si pregia delle eccellenze italiane? Persino
a Città del Messico, con sei volte il numero degli abitanti di Roma, vige una
pulizia rigorosa e, come dimostrato ancora una volta a seguito dei recenti
terremoti, una solidarietà straordinaria. Io invece mi vergogno della mia
provenienza quando gli unici a cedere il posto in autobus sono gli
extracomunitari, quando gli spazzini estemporanei sono gli immigrati, che pure
sono criticati, marginalizzati e accusati dei nostri mali. Ovviamente nulla
cambierà. Siamo il Paese più burocratico al mondo e quello con il maggiore
numero di deputati, premiati con lauti vitalizi per il loro assenteismo. I miei
amici all’estero ripetono che la capacità degli italiani è solo discutere
tanto, attuare poco e cambiare idea per salvarsi la pelle. La ridicola Italia è
tema di conversation amusante in
tutta Europa e altrove. Ed io ne sono imbarazzata perché ho scelto di essere
“solo” cittadina italiana.
Alexandra Massini alexandra.massini@gmail.com
Tutto Quello Che lei dice in gran parte corrisponde al
vero. E convengo con lei che c’è solo da vergognarsi. Però lei mi scrive: “Ho
scelto di tornare a vivere a Roma perché nel cuore mi seno più italiana che
cittadina del mondo”. A questo punto perché non interroga il suo cuore e non
gli chiede le ragioni per cui preferisce l’Italia a tutti i Paesi che lei
conosce per ascendente genitoriali, per il suo rapporto matrimoniale e per la
sua attività lavorativa? I vizi, le negligenze, le trascuratezze, la sciatteria
che denuncia sono tutte vere, ma siccome sono note a tutti, la sua denuncia non
desta curiosità nel lettore, se non per quella frase in cui lei dice che,
nonostante tutto, preferisce vivere in Italia che in altri Paesi del mondo. E
allora provo a ipotizzarla io questa sua preferenza. In Italia non è troppo
avvertito il senso dello Stato, perché la storia d’Italia è stata una storia di
occupazioni da parte di potenze straniere, per cui lo Stato era percepito come
un nemico da cui difendersi, cercando di fare i propri interessi individuali
invece di coltivare una sensibilità per il bene comune. Inoltre l’Italia è un
paese cattolico che, a differenza del mondo protestante dove i fedeli se la
devono vedere direttamente con Dio, dispone di una mediazione sacerdotale che
ha il potere di perdonare i peccati, al punto che, metaforicamente, se dal
pulpito si ascoltano le regole del retto vivere, si sa anche che nel
confessionale si perdonano le colpe e le deroghe. Questo crea in ciascuno di
noi una doppia coscienza che rende meno acuta la sofferenza della colpa, alla
quale si concede poco spazio di riflessione perché un’assoluzione è facilmente
disponibile. Scarso senso dello Stato e della comunità in genere e facile
assoluzione generalizzata delle colpe favoriscono un individualismo che si
esprime al di fuori di ogni regola etica per cui, dalle espressioni mafiose
alle forme di corruzione, fino alle raccomandazioni ovunque diffuse, in Italia
siamo più parenti che cittadini, e con tutti i mezzi andiamo alla ricerca del
bene personale anche a scapito del bene comune. Ma come tutte le cose, anche
questa rappresentazione ha il suo rovescio, perché l’individualismo, così
radicato in Italia, ha favorito quell’adattabilità a tutte le situazioni e
quella creatività che tutti ci riconoscono e qualcuno ci invidia. E questa è la
ragione perché anche lei preferisce stare in Italia, dove tra l’altro c’è un
bel clima, buon cibo e persone che parlano e non se ne stanno afasiche, mute e
corrette come prescrivono le convenzioni sociali. Dopodiché sarebbe necessario
che agli aspetti positivi acquisiti da una cultura dell’individualismo si
aggiungessero a compensazione un minimo di sensibilità sociale e di cura del
nostro modo di abitare e convivere. Allora e solo allora saremmo non solo un
Paese trai più belli al mondo ma, cosa ancora più importante, anche un Paese
più giusto.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 25
novembre 2017 -
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