Nel discorso di Thomas Mann, tenuto il 6 giugno1945 nella
biblioteca del Congresso, a Washington, c’è una valutazione della politica di
stretta attualità, mentre si manifestano sintomi di stanchezza democratica. Si
può leggere il testo in” Moniti all’Europa” appena pubblicati, dopo la prima
edizione del’47 (sempre di Mondadori. Nell’antologia tra i numerosi scritti di
Mann c’è la conferenza americana (tradotta dalla grande germanista Lavinia
Mazzucchetti). Mann la pronuncia a settant’anni. Ne sono passati trenta dalle
“Considerazioni di un impolitico” in cui esprime la parte più torbida di se
stesso e dell’epoca, perlomeno sul versante tedesco, esaltando la guerra e
schierandosi contro la democrazia occidentale. Quello era il suo stato d’animo,
manifestato con convinzione, mentre era in corso la Prima guerra mondiale. A
Washington prende la parola quando la Seconda guerra mondiale si è appena
conclusa in Europa e lui è da tempo una delle espressioni più nobili dell’opposizione
al nazismo, dopo essere stato un sostenitore della democratica Repubblica di
Weimar. Hitler ha proibito le sue opere, ha confiscato i suoi beni, l’ha
privato della nazionalità tedesca e Mann è diventato un cittadino americano con
un cuore tedesco. La Repubblica federale, nata dalla sconfitta nazista, gli
offrirà invano di diventare il suo presidente. Non ha mai voluto ripudiare apertamente le
“Considerazioni” scritte tra il 1915 e il 1918. Il libro era una scheggia
romantica da non estirpare e da non integrare. Da non accettare e da non
rinnegare. Spiegherà l’autore: è “un’opera di travaglio e di scandaglio
faticoso e schietto di me stesso”. È un suo passato che gli appartiene anche se
non esprime più il suo presente. L’intreccio intellettuale contribuirà al
confronto delle idee del tempo, nella “Montagna magica” (in particolare tra
l’umanista Settembrini e il gesuita Naphta). La politica dice Mann nella
conferenza di Washington, viene definita l’arte del possibile e in definitiva è
una sfera affine all’arte in quanto è creatrice e mediatrice “fra lo spirito e
la vita, l’idea e la realtà, il desiderabile e il necessario, la coscienza e
l’azione, la moralità e la potenza”. Essa implica tanti elementi troppo umani e
contaminati di volgarità, al punto che pochi uomini politici, sia pur carichi
di meriti, sono esentati dal chiedersi se abbiano ancora il diritto di
considerarsi persone rispettabili. Tuttavia la politica non potrà mai
rinunciare del tutto alla componente ideale e spirituale, all’etica e alla rispettabilità
della sua natura, riducendosi alla volgarità, alla corruzione o addirittura
all’assassinio. La sua forza creativa, anche se spesso accomodante, non può
degenerare in una sterilità indegna e criminosa. Se questo accadesse la
politica non sarebbe più arte, “né ironia capace di realizzazione mediatrice e
feconda. “La Germani e i tedeschi” è il titolo della conferenza di
Thomas Mann. È dalla disfatta nazista che si rivolge, affrontando al tempo
stesso il tema generale della politica, dice, sanno conservare, anche per
istinto, l’unità tra coscienza e azione, tra spirito e potenza. Fanno politica
come si esercita, appunto, un’arte della vita, in cui non mancano ingredienti
di umana perfidia senza perdere di vista quel che è umanamente rispettabile e morale.
Questo conduce a soluzioni basate sul compromesso può apparire ipocrita a chi
per inettitudine alla politica la fraintende “con goffa onestà”. Thomas Mann si sofferma sull’indole tedesca
che, sebbene incline alle cose intellettuali e ideali, è arrivata a considerare
la politica menzogna e inganno. Questa psicologia riaffiora, sotto altre forme,
nelle democrazie stanche settant’anni dopo. Nell’introduzione all’antologia
Giorgio Napolitano si sofferma su “Attenzione Europa”, un saggio pubblicato in Francia
nel 1937, con una prefazione di André Gide. Si tratta di una lezione di storia
in cui si prospetta il pericolo di “una rovina della civiltà”. E si mette in
guardia dall’ambiguità dei sentimenti patriottici, quando assumono, diciamo
noi, i connotati del nazionalismo. Mann avverte che un radicale “dissidio tra
patria e cultura” non può che condurre alla sventura.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori – L’Espresso – 17 dicembre
2017 –
Nessun commento:
Posta un commento