La scorsa estate mio figlio maggiore ha frequentato,
prima obtorto collo poi con di un invasato (le mezze misure non sono pane per
gli adolescenti), il campo estivo di lettura Great Books nella citta di A in
Massachusetts, dove abbiamo trascorso due mesi. Malgrado l’obiettivo primario
dell’esperienza (e dell’investimento= fosse quello di accendere il sacro fuoco
della conoscenza attraverso l’innamoramento coatto per la parola scritta e per
i libri, oggetti sinistri e dall’utilità oscura, il virgulto, refrattario a
talune sollecitazioni ma sensibilissimo ad altre, è tornato in patria ardendo
di ben altre fiamme. Lei, la fiamma, è quindicenne, afroamericana,
intellettuale, politicamente impegnata, agguerrita paladina dei diritti civili,
bellissima, lettrice seriale e compulsiva, poetessa in erba. “Ci siamo
fidanzati”, ha solennemente annunciato lui alla fine della seconda settimana di
campo estive. Cos’avrà trovato una così in un torvo ragazzetto italiano scarsamente
alfabetizzato, che alla cura dello spirito preferisce l’allenamento della
tartaruga addominale? Trovare una risposta è difficile quanto entrare nella
testa di una fanciulla di Nashville, Tennessee, allevata a pollo fritto e
patate dolci da una madre femminista e da un padre sosia di Obama. Da
professionisti consumati delle relazioni a distanza, l’economista marxista
barese e io, che in ventitré anni insieme non abbiamo mai vissuto più di
qualche settimana consecutiva sotto lo stesso tetto, eravamo pronti a
scommettere nella caducità di quell’amore con 7.751,9 chilometri in mezzo.
“Vedrai, alla tua età si guarisce in fretta dalla nostalgia. Inizierai il
liceo, incontrerai nuovi amici”, blateravo nell’intento di consolare
l’inconsolabile. I primi tempi, per ovviare ai languori della lontananza, lui
viveva online sul fuso orario di Nashville, 7 ore più tardi rispetto a noi.
Come un vampiro era sveglio di notte e dormiva con la luce, superflua perché
incapace di illuminare l’unica persona meritevole nell’universo. “Ora comincia
la scuola: non puoi continuare a fare questa vita al contrario”, gli abbiamo
comunicato una mattina di settembre. “Non posso vivere senza sentirla ogni
giorno”, ha risposto al crepuscolo. Si parlano in cucina, in orari poco ortodossi,
sono in grado di conversare per un tempo infinito, non è dato sapere di cosa.
Nel frattempo lui è diventato femminista, amante della musica country ed
esperto di storia della schiavitù in America. Lei probabilmente ha imparato a
fare i crunch addominali cantando rap italiano. “A Natale dobbiamo andare ad
Amsterdam, ha annunciato lui un giorno. “A Natale andiamo a Bari dai nonni,
come sempre”, ha risposto l’abitudinario padre. “Perché proprio ad Amsterdam?”
ho domandato io, tentata dalla possibilità di infrangere una tradizione
ventennale. “Perché lei è lì con la famiglia e noi dobbiamo incontrarci”. Ci
siamo riuniti, abbiamo discusso e deliberato: “Purché tu abbia la sufficienza
in tutte le materie nel primo trimestre e sia più gentile con i tuoi fratelli,
passeremo 4 giorni tutti insieme ad Amsterdam”. Tutti insieme? Anche con quei
due balordi piccoli? Che imbarazzo. Io veramente pensavo di partire solo con
te, mamma. Poi, una volta lì, io sarei andato in giro con lei e la sua
famiglia”, ha risposto l’ingrato”. “E io?” ho domandato. “Tu mi avresti
aspettato in albergo”. “O tutti o nessuno. Prendere o lasciare”. Così andremo
ad Amsterdam a conoscere la principessa di Nashville e i suoi genitori. Mio
figlio nell’attesa studia greco e latino e, a ogni sei che conquista, si
premura di informarci che: “Non l’ho fatto per voi, e nemmeno per amore dello
studio. L’ho fatto solo per lei. E per andare ad Amsterdam”.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 16
dicembre 2017 -
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