Dopo Il Cinema, dopo la politica, dopo le aziende
della Silicon Valley, fioccano le denunce per molestie sessuali anche nelle
redazioni dei giornali e delle tv. Almeno qui in Usa. È inutile che faccia i
nomi di illustri colleghi americani sospesi o licenziati, perché quando mi
leggerete l’elenco si sarà già allungato. Chissà, forse un giorno il “caso
Weinstein” (il produttore di Hollywood ormai celebre) diventerà una pietra
miliare nella storia del costume, dei diritti delle donne, dei valori etici
dominanti. Forse un giorno si parlerà di un “prima o dopo Weinstein”, come di
un confine tra due epoche storiche. Sottolineo il “forse£. I bilanci sui grandi
cambiamenti si fanno con lucidità cent’anni dopo. Questa vicenda è ancora in
piena evoluzione ed è intrisa di ambiguità. Mi colpisce il giudizio di tante
mie coetanee. Applaudono il coraggio delle donne che finalmente si ribellano,
finalmente respingono i ricatti e le minacce, finalmente aprono lo sguardo su
una realtà orrenda. Però aggiungono spesso un’altra storia. Ricordano di essere
state danneggiate anche da altre donne, più disinvolte e intraprendenti, che
della disponibilità sessuale facevano un’arma per la carriera. Donne mediocri,
prive di talento, ma furbe e spregiudicate hanno, anche loro, inquinato i
luoghi di lavoro, conquistandosi corsie preferenziali. E non c’è bisogno di
pensare il cinema o alla tv p ad altri mestieri glamour, perché queste cose
accadono anche nei supermercati, in banca, nelle compagnie assicurative. Nei
racconti di amiche e colleghe che non hanno raggiunto la maturità c’è un mondo
più sfumato, dove non tutte le donne sono state sempre vittime: alcune hanno
preso di mira i maschi-predatori e li hanno usati come trampolini. Sui
predatori ho un’altra teoria. È utile prendere in prestito dall’etologia la
categoria del maschio alfa, o capobranco. Il genere Weinstein è un porco con le
donne e a loro fa subire le umiliazioni più ignobili, che lasciano traumi
profondi. Ma rende la vita impossibile anche ai colleghi uomini, ai
collaboratori, ai dipendenti di ogni sesso. Il predatore sessuale spesso
coincide con la figura del collega arrogante, o del capo prevaricatore. Il
nostro mondo, le nostre aziende, i nostri luoghi di lavoro sono dominati da
uomini che si ritengono di una razza superiore, hanno il culto di sé, pensano
di potere calpestare gli altri sul loro cammino. Purtroppo in buona parte
questa cosiddetta élite è la classe dirigente, ha preso il comando. Poiché il
maschio alfa è certo di volare alto come le aquile, molto al di sopra dei
comuni mortali, è anche convinto che a lui le regole non si applicano. La
prepotenza sulle donne, dalle avance moleste fino alla violenza, nasce in
questo contesto: dove manca l’empatia e scompare ogni rispetto. In questo senso
la battaglia delle donne, se avanza in ogni settore, renderà un po' più liberi
anche tanti uomini. Potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione valoriale,
verso un mondo del lavoro e una società dove potere sia sinonimo di
responsabilità. Dopo decenni in cui abbiamo visto crescere ai vertici un
diffuso senso d’irresponsabilità, questa sarebbe una vera inversione di
tendenza. Resta un’eccezione, suprema e tremenda. Donald Trump sembra immune,
impunito. Ci sono ancora potenti che fanno troppa paura, contro i quali la
ribellione è perdente. Non aiuta il fatto che, durante la presidenza di Bill
Clinton, ci furono omertà e indulgenze in tutto il campo progressista, incluse
autorevoli femministe americane.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 9
dicembre 2017 -
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