“In Che Senso” viene a casa nostra di notte”?”.
“Beh, aspetta che dormiamo e poi arriva”. “Come un ladro?”. “No! È buono, vuole
farci una sorpresa. “Puoi dirgli di non venire per piacere?”. “Perché?”.
“Perché mi fa paura un signore sconosciuto che arriva di nascosto a casa mia,
col buio. Digli di andare dagli altri bambini, se a loro va bene”. “E i regali?
Chi te li porta se lui non viene piò?”. “Voi. Siete i miei genitori. Abitiamo
insieme…Mi sembra più normale, no?”. Il mio Babbo Natale ebbe vita brevissima.
Da figlia unica e pavida non avevo spalle abbastanza larghe per sostenere
istruzioni aliene, seppure bene intenzionate. La mia infanzia fu costellata di
troppi fantasmi perché mia madre ingaggiasse una battaglia per difendere un
ospite paffuto e indesiderato. Il prepensionamento di Babbo Natale, tuttavia,
non mi impedì di vergare lunghe liste di desideri, che consegnavo brevi mani ai suoi preferiti sostituti.
Avevo la sfacciataggine di stilare elenchi infiniti di beni, tutti
rigorosamente materiali, espressione del mio acerbo ma sfrenato consumismo. Al
contrario di me, i miei figli non sono mai stati turbati dall’epifania notturna
in soggiorno di un attempato e munifico figuro, cui probabilmente avrebbero
preferito un personaggio ancora più eccitante, come un serial Killer o una
testa di cuoio o un clown psicopatico. Con mia grande sorpresa, hanno accolto
con gaudente naturalezza la – per me terrificante – prospettiva di un’invasione
estranea la notte di Natale, e hanno continuato a crederci a dispetto del
crescere degli anni e del buon senso, per amore di magia e di quei bontemponi
dei loro genitori che si ostinano ad alimentare la leggenda. “Non mi hai ancora
chiesto cosa voglio da Babbo Natale”, mi ha redarguito qualche giorno fa
l’ultimogenito lussurioso, immerso in una vasca da bagno piena di schiuma da
cui facevano capolino solo due occhi accusatori e dieci lunghissime dita di un
paio di enormi piedi prensili, sproporzionati per i suoi 7 anni. “Hai ragione.
Dimmelo adesso””. “Vorrei una macchina
fotografica per fotografare tutto il mondo e dei personaggi con le braccia e le
gambe che si muovono e soprattutto un registratore”, ha risposto senza alcuna
esitazione. “Un registratore?”, ho domandato perplessa. “Sì, un registratore
per registrare la mia voce, per raccontargli i miei segreti. E anche per
raccogliere quelli degli altri se hanno voglia di raccontarmeli. Tu li diresti
i tuoi segreti al mio registratore?”. “Certo”. “Allora Babbo Natale deve
assolutamente portarmelo”. Il bello dei desideri dell’infanzia è che, per
quanto strampalati, sono esaudibili. Il figlio di mezzo ha qq anni e un amore
viscerale non ricambiato per il calcio. “Per Natale voglio andare a vedere la
Juventus allo stadio”. “E poi?”. “Voglio essere Buffon”. Il 14enne vuole
trasferirsi a Nashville, in Tennesse, dove vive la ragazzina dei suoi sogni con
cui chatta per ore mentre noi dormiamo. “Tu e papà potreste trovare un lavoro
lì. Non sarà mica così difficile, no? Quei due balordi dei miei fratelli in
qualche modo si arrangiano e io sto sempre con lei. Poi per i prossimi 20
Natali non vi chiedo più nulla, prometto”. Forse sta proprio nell’iperbole dei
desideri la forza, laica e dirompente, di quel signore che si insinua
nell’intimità dei sogni oltre che del focolare. Lui ci autorizza a dichiarare
l’altrimenti incauto “io voglio” senza limiti alla nostra megalomania. “E tu
cos’hai chiesto a Babbo Natale, mamma?”, ha domandato il piccolo, agitando i
piedi tra le bolle di sapone. “Di diventare una campionessa di boxe e di yoga
acrobatica”. “Perfetto. Così io potrò registrarti e fotografarti”. “Affare
fatto. E Buon Natale”.
Claudia de Lillo – Opinioni - Donna di La Repubblica – 23
Dicembre 2017 -
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