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giovedì 2 gennaio 2014

Lo Sapevate Che: Chi Vuol Credere alle Chiacchiere?...


Scrive Gorgia: “I divini incantesimi compiuti con le parole possiedono una potenza che blandisce l’anima, persuadendola e trascinandola con il loro fascino”

Sono una studentessa del liceo classico e un dubbio continua a tormentarmi. Secondo lei la retorica è arte o inganno? L’importanza sociale della retorica si avverte soprattutto nell’Atene del IV secolo, quando giunge a maturità il sistema democratico.
Nelle assemblee e nei tribunali l’arte retorica poteva garantire il successo, grazie alla capacità di piegare a sé l’opinione della moltitudine. Può la retorica incidere più delle specifiche arti nella vita pubblica, anche se chi parla non è esperto riguardo ai contenuti del suo discorso? Il potere della parola era già riconosciuto dagli antichi.
Tacito, nel suo Dialogus de oratori bus, affermava convinto che in tempi di libertas la parola può trascinare folle, rovesciare poteri, imporre alla politica svolte improvvise e alla storia inopinate direzioni. Oggi, basta pensare all’importanza dell’arte del discorso nelle campagne elettorali, nelle promesse elettorali e nella politica in sé, per capire quanto la retorica possa “muovere” l’uditorio verso le idee di chi sa usare o fittizio? E’ un’arte nobile oppure un mero strumento per le moderne tecniche politiche? Dalla manipolazione delle coscienze nei regimi dittatoriali del Novecento, fino ad oggi, epoca dei mass media, mi sembra che la retorica sia volta unicamente alla ricerca esasperata del consenso, caratterizzata solo da spettacolarizzazione e ubiquità. Sbaglio?
Giulia

Quel che è certo è che la retorica è l’arte della persuasione, che può essere messa al servizio sia della verità sia della menzogna. Cassandra, ad esempio, sa predire il futuro secondo verità, ma per aver tradito un giuramento, Apollo l’ha privata della capacità di persuadere, per cui le sue profezie, anche se vere, sono inefficaci e non ritenute degne di fede. Sembra quindi che la retorica abbia un maggior potere rispetto alla verità, anche perché, per accedere alla verità occorre conoscenza e competenza che, non essendo a disposizione di tutti coloro che ascoltano, facilitano l’effetto persuasivo di chi sa incantare con la parola. Per questo Platone riteneva che una città che vuole essere democratica deve in primo luogo allontanare retori e sofisti, perché i primi con la mozione degli affetti e i secondi con falsi sillogismi riescono a ottenere consensi a prescindere dalla verità dei loro discorsi. La filosofia, come ricerca del vero che si impone grazie alle argomentazioni, contrasta sia la retorica sia la sofistica, le quali dicono cose che non appaiono false perché assomigliano al vero, ma non sono vere perché gli assomigliano soltanto.
La politica si nutre di retorica perché, senza l’arte della persuasione, anche le cose vere non appaiono tali, ma, sempre con l’arte della persuasione, sa far apparire vero anche il falso.
Naturalmente questa seconda possibilità dilaga quanto più impreparati sono gli ascoltatori e quanto meno informazione e cultura circolano nella città. Nel nostro tempo, caratterizzato dall’onnipresenza del mezzo televisivo i cui tempi, come è noto, sono ristretti, altrimenti il pubblico si annoia e cambia canale, le argomentazioni e i ragionamenti sono impossibili, e perciò funzionano le frasi a effetto, che l’indomani hanno la loro risonanza sulla carta stampata, in un circolo vizioso che, oltre ad annodarsi su se stesso, determina il trionfo assoluto della retorica sulla ricerca del vero. E questo è tanto più attuale in una società come la nostra dove i problemi sono complessi, e pochi hanno la competenza per affrontarli al di là degli effetti retorici che producono persuasione e consenso.
Per questo possiamo dire che la democrazia arranca, se addirittura non è già morta, sostituita dalla telecrazia, che è tanto più efficace quanto più basso è il livello culturale del Paese. E noi italiani sappiamo che, quanto a istruzione e cultura, non siamo ai primi posti, ma neppure a mezza classica, in Europa.
Per questo “ci piacciono” le persone che definiamo carismatiche, mentre sono solamente degli ottimi retori che ottengono il nostro consenso perché, oltre a esonerarci dallo sforzo di verificare se ciò che dicono corrisponde al vero, ci offrono la facile scorciatoia dell’adesione emotiva. Questa è la potenza della retorica che, come scrive Platone nel Crizia (109 b-c), “non ha si serve della persuasione come di un timone, per raddrizzare la marcia secondo i propri disegni”.
umbertogalimberti@repubblica.it – 21 dicembre 2013

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