Scrive Gorgia: “I
divini incantesimi compiuti con le parole possiedono una potenza che blandisce
l’anima, persuadendola e trascinandola con il loro fascino”
Sono una studentessa del liceo classico e un dubbio continua
a tormentarmi. Secondo lei la retorica è arte o inganno? L’importanza sociale
della retorica si avverte soprattutto nell’Atene del IV secolo, quando giunge a
maturità il sistema democratico.
Nelle assemblee e nei tribunali l’arte retorica poteva
garantire il successo, grazie alla capacità di piegare a sé l’opinione della
moltitudine. Può la retorica incidere più delle specifiche arti nella vita
pubblica, anche se chi parla non è esperto riguardo ai contenuti del suo discorso?
Il potere della parola era già riconosciuto dagli antichi.
Tacito, nel suo Dialogus de oratori bus, affermava convinto
che in tempi di libertas la parola
può trascinare folle, rovesciare poteri, imporre alla politica svolte
improvvise e alla storia inopinate direzioni. Oggi, basta pensare
all’importanza dell’arte del discorso nelle campagne elettorali, nelle promesse
elettorali e nella politica in sé, per capire quanto la retorica possa
“muovere” l’uditorio verso le idee di chi sa usare o fittizio? E’ un’arte
nobile oppure un mero strumento per le moderne tecniche politiche? Dalla
manipolazione delle coscienze nei regimi dittatoriali del Novecento, fino ad
oggi, epoca dei mass media, mi sembra che la retorica sia volta unicamente alla
ricerca esasperata del consenso, caratterizzata solo da spettacolarizzazione e
ubiquità. Sbaglio?
Giulia
Quel che è certo è che la retorica è l’arte della
persuasione, che può essere messa al servizio sia della verità sia della
menzogna. Cassandra, ad esempio, sa predire il futuro secondo verità, ma per
aver tradito un giuramento, Apollo l’ha privata della capacità di persuadere,
per cui le sue profezie, anche se vere, sono inefficaci e non ritenute degne di
fede. Sembra quindi che la retorica abbia un maggior potere rispetto alla
verità, anche perché, per accedere alla verità occorre conoscenza e competenza
che, non essendo a disposizione di tutti coloro che ascoltano, facilitano
l’effetto persuasivo di chi sa incantare con la parola. Per questo Platone
riteneva che una città che vuole essere democratica deve in primo luogo
allontanare retori e sofisti, perché i primi con la mozione degli affetti e i
secondi con falsi sillogismi riescono a ottenere consensi a prescindere dalla
verità dei loro discorsi. La filosofia, come ricerca del vero che si impone
grazie alle argomentazioni, contrasta sia la retorica sia la sofistica, le
quali dicono cose che non appaiono false perché assomigliano al vero, ma non
sono vere perché gli assomigliano soltanto.
La politica si nutre di retorica perché, senza l’arte della
persuasione, anche le cose vere non appaiono tali, ma, sempre con l’arte della
persuasione, sa far apparire vero anche il falso.
Naturalmente questa seconda possibilità dilaga quanto più
impreparati sono gli ascoltatori e quanto meno informazione e cultura circolano
nella città. Nel nostro tempo, caratterizzato dall’onnipresenza del mezzo
televisivo i cui tempi, come è noto, sono ristretti, altrimenti il pubblico si
annoia e cambia canale, le argomentazioni e i ragionamenti sono impossibili, e
perciò funzionano le frasi a effetto, che l’indomani hanno la loro risonanza
sulla carta stampata, in un circolo vizioso che, oltre ad annodarsi su se
stesso, determina il trionfo assoluto della retorica sulla ricerca del vero. E
questo è tanto più attuale in una società come la nostra dove i problemi sono
complessi, e pochi hanno la competenza per affrontarli al di là degli effetti
retorici che producono persuasione e consenso.
Per questo possiamo dire che la democrazia arranca, se
addirittura non è già morta, sostituita dalla telecrazia, che è tanto più
efficace quanto più basso è il livello culturale del Paese. E noi italiani
sappiamo che, quanto a istruzione e cultura, non siamo ai primi posti, ma
neppure a mezza classica, in Europa.
Per questo “ci piacciono” le persone che definiamo
carismatiche, mentre sono solamente degli ottimi retori che ottengono il nostro
consenso perché, oltre a esonerarci dallo sforzo di verificare se ciò che
dicono corrisponde al vero, ci offrono la facile scorciatoia dell’adesione
emotiva. Questa è la potenza della retorica che, come scrive Platone nel Crizia
(109 b-c), “non ha si serve della persuasione come di un timone, per
raddrizzare la marcia secondo i propri disegni”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– 21 dicembre 2013
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