Presidente Un Po’
Troppo Supplente
Napolitano si muove
sempre nell’interesse generale.
Ma deve stare attento a
rimanere super partes.
Escludendo le
opposizioni dal vertice sulla legge elettorale si è assunto un ruolo diretto.
Che stona
Che il sistema politico italiano viva da tempo una situazione
di anormalità è chiaro a tutti. La prima grande anomalia, è stato detto mille
volte, riguarda la concentrazione abnorme di potere – economico, mediatico e
politico – in una sola persona, Silvio Berlusconi. Questa anomalia ha sempre
sconcertato gli osservatori stranieri che si chiedevano perché mai non vi si
poneva rimedio. Ma, come si vede, non ne siamo ancora venuti a capo.
Purtroppo negli ultimi tempi si sta aggiungendo un’altra
distorsione al buon funzionamento del nostro sistema politico: l’alterazione
dei rapporti tra le istituzioni, e in particolare il ruolo sempre più incisivo,
per non dire invasivo, della presidenza della Repubblica. Al presidente Napolitano
vanno riconosciuti grandissimi meriti in questi otto anni difficili: solo la
sua autorità morale ha riscattato l’Italia dall’ignominia internazionale negli
anni bui del tardo berlusconismo.
L’invenzione del governo Monti ha letteralmente salvato il Paese in uno dei
momenti più critici della storia repubblicana. E’ quindi fuor di dubbio che il
presidente si muova nell’interesse generale. Infatti, solo per spirito di
servizio e amor di patria ha accettato di rimanere al Quirinale dopo il
disastro compiuto dai parlamentari del Pd nelle votazioni per la presidenza
della Repubblica.
Il Presidente
Napolitano ha
impostato il suo nuovo mandato su due binari: assicurare un governo al Paese e
facilitare le riforme istituzionali, a incominciare da quella elettorale. Ha
così colmato il vuoto politico post-elettorale. Riconosciuti questi meriti,
sarebbe però dimostrazione di sudditanza e di piaggeria non mettere l’accento
anche su alcune sbavature del suo operato recente.
In linea generale, il presidente interviene con una frequenza
inusitata nel dibattito politico, con note ufficiali e ufficiose, discorsi,
brevi interviste, rapide battute. Inevitabilmente queste prese di posizione
incidono sul dibattito politico, laddove invece la presidenza dovrebbe rimanere
estranea. Anche gli incontri con gli esponenti politici sono diventati di
routine; hanno perso quel carattere solenne e un po’ speciale che avevano un
tempo.
E Proprio Su Questo terreno il presidente ha commesso un
passo falso. L’invito al governo e ai partiti che lo sostengono per discutere
della legge elettorale ha offuscato il ruolo super partes della presidenza.
L’esclusione delle opposizioni, soprattutto nel momento in cui si affronta un
tema che riguarda le regole del gioco, ha dato un’impronta eccessivamente e
indebitamente filogovernativa al Quirinale. E’ vero che il garante del governo
Letta-Alfano è Giorgio Napolitano, ma mostrare una preferenza per le forze
politiche di governo rispetto alle opposizioni quando si discute di riforme
così sensibili come la legge elettorale crea un clima poco propizio al
raggiungimento di un consenso generale. Certo, l’iniziativa del presidente è
conseguente alla lentezza dei lavori della commissione Affari costituzionali
del Senato che sta discutendo (anche) della riforma elettorale; ma di questa
lentezza sono responsabili tutti, e quindi tutti dovevano essere convocati e
richiamati all’ordine. E lasciare poi L Parlamento l’onere di risolvere le
divergenze e arrivare a una decisione condivisa. Col suo intervento, invece, il
Quirinale è diventato un attore-motore del processo riformatore: ha assunto un
ruolo e una responsabilità (troppo) diretti.
Queste sbavature presidenziali derivano dal vuoto di
“capacità” politica, vale a dire dalla inerzia politico-culturale dei partiti.
Di fronte a un parlamento e a un governo deboli, esito di partiti debolissimi,
inevitabilmente interviene in supplenza l’unica istituzione forte e legittima
oggi in campo. La presidenza agisce in condizioni eccezionali e compie un’opera
difficile e delicata, non esente da rischi anche perché inedita. Nessuno si è
trovato in queste situazioni, se non per un brevissimo periodo il presidente
Scalfaro nell’infuriare di Mani Pulite. Per questo, anche i migliori, anche con
le migliori intenzioni, a volte sbagliano.
Piero Ignazi – L’Espresso – 7 Novembre 2013
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