Dalla Referenza Alla
Preferenza
Esistono più livelli di raccomandazione: c’è quella del
potente, del cliente, del connivente, del parente. Nel caso della Cancellieri e
della Ligresti qualche dubbio sull’opportunità dell’intervento del ministro
sorge….
Qualche settimana fa
ho osato infrangere un tabù. Ho scritto un elogio della raccomandazione, nero
su bianco in questa rubrica. Quella fra universitari, però, soltanto quella. La
spinta del maestro ai propri allievi, per aiutarli a farsi largo nei concorsi.
Nel mondo accademico, difatti, vige la regola della cooptazione: spetta al
cattedratico di storia dispensare le cattedre di storia, non può certo farlo
l’assessore. E quasi sempre il cattedratico conosce il perché le selezioni
universitarie sono ben diverse da un concorso alle poste. D’altronde c’è una
comunità scientifica, ma non esiste una comunità postale.
Apriti Cielo: mi hanno fucilato in piazza. Ma
davvero le raccomandazioni sono tutte uguali? Prendiamo il caso Cancellieri,
che mena scandalo proprio in questi giorni. Un ministro si prodiga per la
liberazione di Giulia Ligresti, detenuta con problemi di salute. Slanci
umanitari? Può darsi. Ma sta di fatto che i Ligresti sono vecchi amici del
ministro; e sta di fatto inoltre che il figlio del ministro ha lavorato alle
loro dipendenze, percependo tra buonuscita e competenze varie 5 milioni. Sicchè
fa capolino, testarda, la domanda: sul piano etico, o magari giuridico, non c’è forse da distinguere la
raccomandazione del potente da quella del cliente, del connivente, del parente?
Due secoli fa Gaetano Filangeri scrisse la “Scienza della
Legislazione”; ora sarebbe il momento d’abbozzare una Scienza della
raccomandazione. Del resto alle nostre latitudini questa disciplina ha già
molti discepoli, anche se tutti la professano in segreto. Un italiano su due ne
ha approfittato per trovar lavoro, dichiara una ricerca Isfol del 2006. E sette
studenti su dieci pensano che l’”aiutino” sia prezioso per laurearsi in fretta.
Nelle aziende private le conoscenze servono nel 51,8 per cento dei casi,
aggiunge un’indagine Infojobs del 2009. Mentre l’anno prima Medialab aveva
fissato le quote delle spintarelle chieste e ottenute da ciascun italiano: il
66,1 per cento bussando alla porta di un familiare, il 60,9 da un amico, il
33,9 da un collega di lavoro.
Nella nostra bandiera nazionale, diceva Longanesi, dovremmo
scriverci: “Tengo famiglia”. E in Italia, si sa, le famiglie sono tante. Come
le raccomandazioni, per l’appunto. Ma in onore della nuova scienza, possiamo
suddividerle in tre categorie.
Estorsioni. Di norma, il raccomandante domanda
un favore per qualche suo protetto, e lo domanda a chi ha in concreto il potere
d’aiutarlo. Nella gerarchia della raccomandazione, al grado più basso c’è perciò
il raccomandato; poi il raccomandante; ma sopra di lui impera il
raccomandatario, se così vogliamo definirlo. Dopotutto, dipende dal suo “sì” la
buona riuscita dell’impresa. Può succedere però che la gerarchia s’inverta, che
quest’ultimo sia un sottoposto del raccomandante, anziché soltanto un
conoscente. In questo caso la raccomandazione diventa un ordine, un diktat. Non
è più una forma di pressione, quanto di comprensione per il suo destinatario. E
allora il peccato può tradursi in un reato. Magari non proprio l’estorsione,
magari si tratterà di concussione. Ne sa qualcosa Berlusconi, che da premier
telefonò alla questura di Milano per il rilascio di Ruby, la nipotina di
Mubarak: 7 anni di galera.
Segnalazioni. Se non ha un santo non entri in
Paradiso, recita il proverbio. E noi italiani al Paradiso ci teniamo, non per
nulla ospitiamo il Cupolone. Sarà per questo che ciascuno ha il proprio santo
cui votarsi. E’ un reato? Al massimo una contravvenzione per aver rallentato il traffico (“Favori in
corso”). Però, attenti: le troppe segnalazioni si elidono a vicenda: Quando il
prof. riceve una telefonata per ogni suo studente, farà gli esami a cuor
leggero, tanto lì davanti sono tutti uguali.
Referenze. Sono scritte, non sussurrate. E
servono ad attestare le qualità di una persona da parte di chi l’ha già messa
alla prova. Dunque stavolta la raccomandazione è pubblica, trasparente; mette
in gioco la credibilità di chi firma. Funziona così nei paesi anglosassoni. E
in Italia? E nel caso Cancellieri? A occhio e croce, qui c’è una preferenza,
non una referenza.
Michele Ainis – L’Espresso – 14 Novembre 2013
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