Cosa Cercano gli
occidentali nel Buddismo?
Recita il Sutra del
Loto: “Come un amabile loto bianco, il Buddha non è mai macchiato dall’acqua,
non è mai macchiato dal mondo”
Nel suo libro sui giovani (L’ospite inquietante) lei scrive: “Non possiamo seguire le vie
orientali perché siamo occidentali, e se è delirio di onnipotenza sconfinare
con l’ecstasy oltre i limiti del proprio io, non lo è da meno sconfinare in
Oriente con l’anima gravida d’Occidente”. Le deve dire che questo è falso
perché, praticando il buddhismo del Sutra del Loto, ho sperimentato una gioia
del vivere che non credevo possibile.
E tutto questo pur essendo una normale ventinovenne, con i
problemi che hanno tutti i giovani: depressione, insicurezza, fidanzato che non
s’incontra, lavoro che non arriva, soldi che mancano, lotta quotidiana per
diventare una sceneggiatrice.
Il Sutra del Loto racchiude l’insegnamento di Shakyamuni, che
afferma che siamo tutti dei Buddha, perfettamente dotati di tutto quello che ci
serve (forza, coraggio, compassione, fiducia, saggezza, libertà) per essere
felici. Che in ogni essere umano, di qualsiasi età, sesso, religione, razza,
ceto sociale, esiste un immenso potenziale chiamato buddhità, che dobbiamo solo
imparare a manifestare nella nostra vita.
Questo per dirle che anche se io vivo nello stesso mondo dei
ragazzi del suo libro, per me e per molti altri la vita ha un sapore diverso,
anche se è una lotta contro quella che il buddhismo definisce “oscurità
fondamentale della vita”, che è quella forza distruttiva che tutti conosciamo e
che ultimamente i giovani sperimentano, dimenticando di possedere anche quella
buddhità, che non ci consente di dire che è tutto inutile, che non ce la
faremo, perché ci porta a credere in noi e nella nostra vita.
Spero di essere riuscita a trasmetterle qualcosa di buono e
di bello. Con affetto, c’è.
Chiara
ilcagnolinorise@tiscali.it
Siccome la vita è piena
di inciampi, delusioni, “sofferenze”, contraddizioni, disperazioni, tutto ciò
che aiuta ad alleviare quanto di negativo si incontra e ci affligge, penso che
debba essere ben accolto. Che si chiami cristianesimo o buddhismo, che si
chiami fede o saggezza, che abbia o non abbia fondamento, che sia vero o
solamente probabile o addirittura illusorio, se aiuta a vivere e dà conforto o
consolazione, perché rifiutarlo?
Partendo da questa mia
profonda convinzione, anche il buddhismo con le sue massime di saggezza ha
piena cittadinanza in quello scenario dove si è alla ricerca di qualcosa che
possa aiutare a vivere. Se però usciamo da questo scenario e ci chiediamo:
davvero noi occidentali che, come Nietzsche ci ha insegnato, siamo la civiltà
della volontà di potenza, come tutta la nostra storia da secoli è lì a
dimostrare, siamo in grado di accedere a quella cultura orientale, e specificatamente
buddhista, che alla volontà preferisce la non volontà (noluntas), e che al
Buddha consegna le parole “la mia dottrina sta nel pensare il pensiero del non
pensiero, nel parlare il linguaggio del non parlare, nell’esercitare la
disciplina dell’indisciplina”, la mia risposta è: non credo.
Credo invece che
nell’appropriarsi della saggezza e delle tecniche di meditazione orientale
faccia di nuovo la sua comparsa la nostra volontà di potenza, che per i suoi
scopi, in questo caso di benessere esistenziale, non esita a impossessarsi di
pratiche che magari non comprende nella loro profondità e nel suo autentico
significato, ma che in ogni caso le tornano utili- E siccome il vantaggio,
l’utilità, sono i tratti tipici della volontà di potenza, non siamo minimamente
usciti dalla mentalità occidentale, anche se ci impossessiamo di pratiche
orientali.
A questa prima
considerazione ne aggiungo un’altra: L’irrilevanza del mondo rispetto alla
figura soverchiante dell’eterno, il fatto che “il Buddha lo attraversa senza pensare
ad alcuna riforma”, il fatto che insegni a “liberarsi dal mondo”, invece di
trasformarlo, non accordando alla storia quello spazio significativo che ha in
Occidente, mi fa pensare che l’adesione
degli occidentali al buddhismo nasca dalla sfiducia che la storia ancora
custodisca un sentiero di salvezza.
Spenta l’utopia e
divenuta ormai improbabile la rivoluzione, leggo nell’adesione al buddhismo una
rassegnazione, una sorta di passività, un consegnarsi a quel mondo astorico
proprio dell’Oriente che nella storia dell’uomo non ha mai posto alcuna
speranza. In questo modo si rinuncia a un miglioramento della condizione umana
e del mondo, per una sorta di salvezza personale che non si fa carico d’altro
che non sia la propria individuale serenità. Detto ciò, ricambio il suo
affetto.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 28 Settembre 2013
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