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martedì 22 ottobre 2013

Lo Sapevate Che: Attualità...


Mr.Frode e le sue Ferrari

Vita da nababbo senza dichiarare un euro. E dopo i controlli della Finanza, è corso a comprarsi un bolide rosso

L’operazione Skyfall è scattata alle sette del mattino di giovedì 3 ottobre, quando il cinquantaquattrenne imprenditore romano Fausto Mencancini ha trovato gli uomini delle Fiamme Gialle appostati sotto il portone di casa.
L’uomo viveva come un nababbo. Dalla ristrutturazione di quattro appartamenti aveva messo insieme un attico di 15 vani per complessivi 500 metri quadrati, nel quale aveva ricavato una dépendance per la tata dei suoi pargoli e sul tetto si era fatto costruire una confortevole piscina. Provetto pilota, in vari garage custodiva gelosamente una collezione di auto (tutte intestate alla società Sea Blu) da far invidia a uno sceicco: una Ferrari F12, una Testarossa (per le vetture di Maranello aveva una vera passione: ne aveva comprate cinque tra il 2009 e il 2013), tre Mercedes (una grossa 5350 Blur-tecnuova di zecca, una classe C220 e una A160, una Fiat 500 Abarth per gli spostamenti in città e una Clio (sconosciuta al fisco) per la tata. Aveva invece da poco venduto una Maserati Granturismo e due Porshe 911 Carrera. A Olbia teneva ormeggiato lo Skyfall. Un 26 metri da 4,5 milioni di euro con due motori da 1.790 cavalli l’uno, capaci di consumare 600 litri di carburante l’ora, che veniva affittato per 40mila euro a settimana. All’Argentario un grosso gommone cabinato per fare il bagno nel weekend.
Prima di portarlo a Regina Coeli la Guardia di Finanza, che lo teneva d’occhio da tempo, gli ha sequestrato tutto, compresa una collezione di orologi da q00 mila euro e 5mila euro in contanti, che l’uomo voleva portare con sé in carcere. L’ultimo tentativo di resistenza l’ha fatto per le adorate Ferrari, con le quali partecipava regolarmente a gare di velocità: ha provato a sostenere di avere perso le chiavi del garage, ma gli uomini in grigio hanno risolto il problema chiamando i vigili del fuoco, che hanno risolto il problema chiamando i vigili del fuoco, che hanno aperto le saracinesche come scatole di tonno.
Ad avviare le indagini era stata una segnalazione proveniente dall’Austria, uno dei tre Paesi (insieme a San Marino e al Portogallo) dai quali Mencancini importava prodotti tecnologici, sui quali non pagava l’Iva, che poi invece incassava dai circa 5oo clienti (che così a loro volta andavano in credito nei confronti del fisco) ai quali rivendeva la merce sottocosto. Titolare di fatto di quattro società (le faceva fallire in media ogni 2 anni), in nessuna delle quali figurava come titolare di quote o ricopriva cariche sociali (tutte erano formalmente amministrate da prestanome italiani o rumeni, pagati 2 mila euro al mese per il disturbo), Mencancini aveva presentato per l’ultima volta la dichiarazione dei redditi nel 2008. Denunciando, nonostante il tenore di vita da nababbo, un importo poco superiore ai 5 mila euro. I finanzieri hanno appurato che aveva una delega su tutti i conti bancari delle società. Hanno interrogato gli amministratori, scoprendo che nulla sapevano delle attività che in teoria avrebbero dovuto coordinare. E trovato una conferma definitiva dagli interrogatori degli acquirenti: a trattare era sempre e solo Mencancini. Con i proventi illeciti, frutto di evasione e bancarotta fraudolenta  (che lo ha portato in carcere), stimati complessivamente in 93 milioni di euro (di cui 27,5 milioni di omesso versamento Iva), l’uomo si era comprato nel tempo 11 immobili, oggi tutti sotto sequestro.
Al momento dell’arresto Mencancini si è mostrato incredulo. Eppure era già stato sentito dalle Fiamme Gialle, che avevano contestato mancati versamenti Iva per 6 milioni di euro. Ma era sicuro di averla fatta franca. Al punto che, per festeggiare, era corso a comprarsi una Ferrari. E dire che era pure nel mirino della magistratura, sospettato di aver affondato un’imbarcazione, nel giugno 2010, davanti alle Formiche di Grosseto, per incassare l’assicurazione. La barca del re delle false fatture si chiamava Mr.Incredibile.

Stefano Livadiotti - L’Espresso – 24 Ottobre 2013 

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