Macchè Raccomandati,
Aboliamo I Concorsi
Un conto è un por che
aiuta suo figlio, altro un docente che dà una chance a un allievo capace.
Se non li favoriamo
avremo sempre più cretini in cattedra
Confesso: ho peccato. E prima di me ha peccato il mio
maestro, e il suo maestro, e di maestro in maestro per generazioni. Tutti
colpevoli di aver raccomandato i propri allievi, d’aver brigato per appoggiarli
nei concorsi. Ma Il peccato si traduce in un reato?
A leggere le cronache, parrebbe di sì: decine di prof
indagati dalla procura di Bari, concorsi truccati in undici università
italiane.
Poi, certo, la notizia meriterebbe una verifica. In primo
luogo perché gli undici nomi rimbalzati sui giornali chiamano in causa cinque
membri della commissione di “saggi”, quella incaricata dal governo d’indicare
le riforme costituzionali necessarie. Ma guarda un po’, che coincidenza.
Proprio nel mezzo d’uno scontro politico rovente sulle medesime riforme,
proprio alla vigilia della manifestazione indetta a Roma da quanti ci
s’oppongono. Fin troppo comodo screditare il saggio per screditare la riforma.
E in secondo luogo, c’è il trucco. Noi non sappiamo di quali
malefatte vengano accusati questi professori, e il bello è che non lo sanno
nemmeno loro, avendo ricevuto un’informazione a mezzo stampa, anziché
un’informazione di garanzia. Ma un conto è favorire i propri allievi, altro i
propri figli (ahimè, succede: come diceva l’ex ministro Mussi, certi Consigli
di facoltà sembrano Natale in casa Cupiello), Un conto è che il concorso venga
vinto da candidati con zero pubblicazioni accreditate, o che i commissari di
concorso abbiano, tutti insieme, meno titoli del candidato trombato (ahimè,
succede pure questo: a Parma nel 2001. A Bari nel 2002, a Reggio Calabria nel
2004, a Messina nel 2005, alla San Pio V di Roma nel 2006). Un altro conto è
stringere alleanze fra scuole accademiche, chiedere un fondo da ricercatore
all’ateneo per offrire una chance LL’llievo migliore, magari chiedere voti
dichiarando già in partenza d’appoggiarlo, come succedeva quando le commissioni
venivano elette fra professori della stessa disciplina, anziché, deignate per
sorteggio.
E allora mettiamoci d’accordo: la cooptazione non è un
peccato né un reato, è la legge non scritta dell’università. Perché il giudizio
culturale non spetta al popolo elettore, bensì – come diceva Adorno – al “
denigrato personaggio dell’esperto”. E’ il prof di diritto costituzionale che
valuta le qualità del costituzionalista in erba, non può certo farlo il
sindaco. E d’altra parte ogni giovane studioso s’avvia alla ricerca sotto la
guida d’un docente, che poi lo aiuta a far carriera. Sempre che, beninteso, lui
abbia stoffa da cucire. Questo sistema incoraggia comportamenti borderline, al
confine fra il lecito e l’illecito? Può darsi, ma se è così tanto vale prendere
il toro per le corna. Con una soluzione radicale<. Via i concorsi, che ogni
professore si scelga il suo assistente, che ogni ateneo si scelga i propri
professori. Magari stabilendo i requisiti minimi per essere chiamati in
Paradiso, dal titolo di dottore di ricerca a un certo numero di pubblicazioni.
Altrimenti rischieremmo la promozione in massa del cretino.
E se il cretino trova comunque spazio in Paradiso? Ne
risponde chi lo ha scelto, ma a tale scopo serve una doppia condizione: via il
valore legale della laurea, via il valore legale della cattedra. Dunque
competizione fra i singoli atenei, sicché chi recluta i peggiori docenti si
troverà senza studenti. E stop all’inamovibilità dei professori, stop allo
stipendio a vita, stop alla stessa busta paga per i prof che scrivono libroni e
per quelli che coltivano le rose. E’ la soluzione proposta mezzo secolo fa da
Luigi Einaudi, ma è anche il perno del sistema americano. Dove gli unici
docenti a tempo indeterminato sono quelli con tenure (incarico stabile); gli
altri lavorano, per così dire,, in prova. Ovvero con contratti per lo più
triennali, che agli studiosi più brillanti fruttano un milione di dollari. E
che fruttano il licenziamento agli incapaci. Morale della favola? Da concorso
poli ci salverà il mercato.
michele.ainis@uniroma3.it - L’Espresso – 24 Ottobre 2013
Nessun commento:
Posta un commento