Un Popolo Senza Futuro
Che Non Vuole Liberarsi
Delle Sue Ridicole
Abitudini
Caro Serra, in una sua Amaca, prendendo spunto dai bracconieri
calabresi che oggi come trent’anni fa uccidono i falchi provenienti
dall’Africa, lei ha scritto: “Se mi avessero detto – trent’anni fa – che i
figli sarebbero stati uguali ai padri, non ci avrei creduto. Ero sicuro, da
giovane, che la storia camminasse spedita, che la società era destinata a
cambiare e a migliorare quasi per inerzia, per naturale evoluzione. Pareva
inevitabile che l’arretratezza italiana, figlia della povertà, della
sottomissione, dell’ignoranza, si sarebbe stemperata con il benessere, con la
scolarizzazione di massa, con il buon esempio, Non è andata così”
Non sono d’accordo. I cambiamenti ci sono stati, soprattutto
nell’uso della violenza. Gli omicidi, che sono notoriamente il principale
indicatore di violenza e arretratezza di una società, sono scesi molto negli
ultimi anni. Nel 2012 in Italia sono stati 526, il minimo negli ultimi
quarant’anni. Dal 1984 al 2012 il tasso di omicidi per centomila abitanti in
Italia è passato da 1,8 a 1. In Calabria, che rimane la regione italiana con il
tassa più alto, la percentuale di omicidi per centomila abitanti è passato da
5,2 del 1984 a 2,7 del 2012.
Franco Pelella
Caro Pelella, al di là delle cifre che lei riporta, la sua
lettera pone un problema notevole e (almeno per me) irrisolto, che provo a
riassumere così: come mai, nonostante molti dei parametri che misurano la
nostra qualità della vita, il nostro sguardo tende al pessimismo? La durata
della vita media, la qualità dell’alimentazione, le condizioni sanitarie hanno
fatto enormi passi in avanti dal Dopoguerra a oggi. La città dove ho trascorso
quasi tutta la mia vita, Milano, oggi è molto meno inquinata di quando andavo a
scuola, nelle mattine d’inverno, immerso in uno smog nerastro. Il verde
pubblico è più curato, la metropolitana è pulita e veloce, gli arredi urbani e
la manutenzione delle strade non fanno certo rimpiangere passato. Eppure, anche
se è difficile calcolarlo in termini “scientifici”, ho la netta impressione che
sia decisamente peggiorato l’umore pubblico. Che esistano, cioè, un benessere
reale e un benessere percepito, e che quello percepito sia sensibilmente più
basso di quanto i numeri e le statistiche dicono.
E’ probabile che questo abbassamento d’umore a fronte di un
innalzamento innegabile delle condizioni di vita (incomparabilmente migliori
rispetto ai nostri nonni e padri) dipenda da una crisi profonda delle prospettive
future: abbiamo smarrito il bandolo, perduta la direzione di marcia, e lo
stesso boccone di pane che cinquant’anni fa pareva il primo assaggio di un
futuro di prosperità, oggi ha il sapore di una monotona abitudine e di
un’invariabile mediocrità. Ci sentiamo, come collettività, in una situazione di
stallo, notizie come quelle del perdurante bracconaggio sullo Stretto di
Messina mi paiono l’implacabile conferma della permanenza, nella società
italiana, di arcaismi greci e insopportabili, come se alcune delle nostre
zavorre culturali e tare civili, a dispetto di qualunque statistica
incoraggiante, fossero ineliminabili. Certo, oggi (ed è un enorme passo avanti
rispetto a ieri) ci sono gli ambientalisti che si battono contro gli sparatori
fraudolenti.
Rimane il fatto che nel 2013 ci sono ancora dei maschi
italiani disposti a onorare una tradizione così cretina che si stenta a
crederci: sono convinti che sparando al falco pecchiaiolo si garantiscono la
fedeltà della moglie. Ci sono giorni, caro Pelella, che leggo le statistiche e
mi sento sollevato.
In altri giorni riesco solo a vedere, intorno a me, un popolo
che, nonostante il benessere, niente vuole sapere e conoscere al di fuori delle
sue vecchie abitudini, non si sa se più ridicolo o più tragiche.
Michele Serra – Venerdì di Repubblica 18- Ottobre 2013
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