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domenica 20 ottobre 2013

Lo Sapevate Che: L'Amore e gli "Spot"...

Aiuto, C’E’ Uno Spot che Vuole
Farci Innamorare

Come dice il cantautore francese Alain Souchon: “Ci vengono inflitti desideri che ci affliggono”. Ma più delle iperboli della pubblicità, da temere è la logica del consumo

Non le sarà sfuggita la pubblicità di Apple che ci invita non a comprare, ma ad “amare” la sua merce. Questo fatto segna il nuovo rapporto tra tecnologie informatiche e struttura “affettiva”. Si affettiva! Perché il cliente di Apple non si deve accontentare di comprare una merce, ma deve anche amarla, anzi, addirittura amare quel marchio, perché, come recita il messaggio pubblicitario, “ti renderà la vita migliore”, “lo sentirai sempre. Questa è la nostra firma e significa tutto”. Siamo arrivati al punto che un marchio dovrebbe avere il potere di farci cambiare le emozioni, in un nuovo rapporto tra l’uomo e le cose?
Nicola Capozza

Non dobbiamo esorcizzare la pubblicità, perché è uno dei fattori non secondari che sostiene la stampa, senza la quale avremmo meno informazione, e di conseguenza meno democrazia. Non è infatti democratico un paese dove non si legge  non ci si informa,per cui le scelte o non avvengono, come nel caso dell’astensionismo elettorale, o avvengono su base emozionale senza nessuna considerazione e vaglio critico.
Detto questo, non è apprezzabile quella pubblicità che va  a sollecitare le pulsioni primarie, come la sessualità e l’aggressività, abbinando il prodotto da vendere alle forze oscure del sottofondo della nostra anima, bypassando il giudizio sul valore del prodotto, sulle sue qualità e utilità.
Non mi pare questo il caso di una strategia pubblicitaria che,  quanto lei mi riferisce, punta sulla dimensione affettiva, invitando a “innamorarsi” del prodotto perché “ti migliora la vita” e questo significa tutto”. Qui ci troviamo semplicemente in presenza di un’iperbole, perché non è detto che “il miglioramento della vita significhi tutto”, lo sappiamo per esperienza, e soprattutto non è detto che l’acquisto per esempio di un prodotto Apple “migliori la vita” rispetto all’acquisto di un prodotto analogo di un suo concorrente.
Di fronte alla pubblicità dobbiamo piuttosto porci un altro ordine di problemi. Viviamo in un’economia che ci prevede come produttori e consumatori, e che trova la sua giustificazione nel fatto che se non si consuma si ferma la produzione, con conseguenze catastrofiche sull’occupazione, come constatiamo quotidianamente in questa stagione di crisi. Ma abbiamo davvero bisogno di tutte le cose che la pubblicità
ci offre? Probabilmente no, e allora non si ci dovrà limitare a produrre merci per soddisfare bisogni per garantire la continuità della produzione delle merci. E se  di una cosa non si sente propriamente il bisogno? Allora interviene la moda a rendere obsolete le cose che l’anno precedente erano assolute novità, che non si potevano non acquistare. Per la moda, infatti, le cose che sono ancora  “materialmente” utilizzabili, l’anno successivo diventano “socialmente” inutilizzabili e quindi bisognose di essere sostituite.
Non parliamo poi dei pezzi di ricambio dei nostri elettrodomestici. Quante volte ci siamo sentiti dire che costano di più o almeno quanto comperare un elettrodomestico nuovo? Io in tutto questo vedo una dimostrazione concreta dello stile nichilista della nostra economia, che a me pare regolata dal “principio della distruzione”, dove la distruzione non è “la fine” naturale di un prodotto, ma “il suo fine”. Leggevo su Repubblica qualche mese fa un bellissimo servizio sul tempo di vita di molti prodotti informatici programmati per un certo tempo e non oltre. Veniva da pensare che se la data di scadenza non riguarda solo gli alimentari, ma tutti i prodotti, allora non aveva torto Gunther Anders a scrivere: “L’umanità che tratta il mondo come un mondo da buttare via, finirà col trattare anche se stessa come un’umanità da buttar via”. E renderci più felici, consiglierei di leggere un libro di Frédérich Beigbeder, famoso pubblicitario francese, che un certo giorno ebbe un ripensamento e pubblicò un libro, tradotto da Feltrinelli col titolo Euro 13,89, in cui scrive: “Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”.

umbertogalimberti@repubblica.it  - Venerdì di Repubblica 12 Ottobre 2013

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