Aiuto, C’E’ Uno Spot
che Vuole
Farci Innamorare
Come dice il cantautore francese Alain Souchon: “Ci vengono inflitti
desideri che ci affliggono”. Ma più delle iperboli della pubblicità, da temere
è la logica del consumo
Non le sarà sfuggita la pubblicità di Apple che ci invita non a comprare,
ma ad “amare” la sua merce. Questo fatto segna il nuovo rapporto tra tecnologie
informatiche e struttura “affettiva”. Si affettiva! Perché il cliente di Apple
non si deve accontentare di comprare una merce, ma deve anche amarla, anzi,
addirittura amare quel marchio, perché, come recita il messaggio pubblicitario,
“ti renderà la vita migliore”, “lo sentirai sempre. Questa è la nostra firma e
significa tutto”. Siamo arrivati al punto che un marchio dovrebbe avere il
potere di farci cambiare le emozioni, in un nuovo rapporto tra l’uomo e le
cose?
Nicola Capozza
Non dobbiamo esorcizzare la
pubblicità, perché è uno dei fattori non secondari che sostiene la stampa,
senza la quale avremmo meno informazione, e di conseguenza meno democrazia. Non
è infatti democratico un paese dove non si legge non ci si informa,per cui le scelte o non
avvengono, come nel caso dell’astensionismo elettorale, o avvengono su base
emozionale senza nessuna considerazione e vaglio critico.
Detto questo, non è apprezzabile
quella pubblicità che va a sollecitare
le pulsioni primarie, come la sessualità e l’aggressività, abbinando il
prodotto da vendere alle forze oscure del sottofondo della nostra anima,
bypassando il giudizio sul valore del prodotto, sulle sue qualità e utilità.
Non mi pare questo il caso di una
strategia pubblicitaria che, quanto lei
mi riferisce, punta sulla dimensione affettiva, invitando a “innamorarsi” del prodotto
perché “ti migliora la vita” e questo significa tutto”. Qui ci troviamo
semplicemente in presenza di un’iperbole, perché non è detto che “il
miglioramento della vita significhi tutto”, lo sappiamo per esperienza, e
soprattutto non è detto che l’acquisto per esempio di un prodotto Apple
“migliori la vita” rispetto all’acquisto di un prodotto analogo di un suo
concorrente.
Di fronte alla pubblicità dobbiamo
piuttosto porci un altro ordine di problemi. Viviamo in un’economia che ci
prevede come produttori e consumatori, e che trova la sua giustificazione nel
fatto che se non si consuma si ferma la produzione, con conseguenze
catastrofiche sull’occupazione, come constatiamo quotidianamente in questa
stagione di crisi. Ma abbiamo davvero bisogno di tutte le cose che la
pubblicità
ci offre? Probabilmente no, e allora
non si ci dovrà limitare a produrre merci per soddisfare bisogni per garantire
la continuità della produzione delle merci. E se di una cosa non si sente propriamente il
bisogno? Allora interviene la moda a rendere obsolete le cose che l’anno
precedente erano assolute novità, che non si potevano non acquistare. Per la
moda, infatti, le cose che sono ancora
“materialmente” utilizzabili, l’anno successivo diventano “socialmente”
inutilizzabili e quindi bisognose di essere sostituite.
Non parliamo poi dei pezzi di
ricambio dei nostri elettrodomestici. Quante volte ci siamo sentiti dire che
costano di più o almeno quanto comperare un elettrodomestico nuovo? Io in tutto
questo vedo una dimostrazione concreta dello stile nichilista della nostra
economia, che a me pare regolata dal “principio della distruzione”, dove la
distruzione non è “la fine” naturale di un prodotto, ma “il suo fine”. Leggevo
su Repubblica qualche mese fa un
bellissimo servizio sul tempo di vita di molti prodotti informatici programmati
per un certo tempo e non oltre. Veniva da pensare che se la data di scadenza
non riguarda solo gli alimentari, ma tutti i prodotti, allora non aveva torto
Gunther Anders a scrivere: “L’umanità che tratta il mondo come un mondo da
buttare via, finirà col trattare anche se stessa come un’umanità da buttar
via”. E renderci più felici, consiglierei di leggere un libro di Frédérich
Beigbeder, famoso pubblicitario francese, che un certo giorno ebbe un ripensamento
e pubblicò un libro, tradotto da Feltrinelli col titolo Euro 13,89, in cui scrive: “Sono un pubblicitario: ebbene sì,
inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che
vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio
della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa
invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere
nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”.
umbertogalimberti@repubblica.it - Venerdì di Repubblica 12 Ottobre 2013
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