Quando Il Pd Voleva
Cacciare Alfano
All’epoca del caso
Shalabayeva tanti democratici, da Epifani a Cuperlo, da Zanda alla Finocchiaro,
attaccarono il ministro degli Interni e segretario del Pdl. Ora invece è
diventato per tutti un eroe
Oggi Angelino Alfano è l’eroico conductor della resistenza
antiberlusconiana che batte il cinque sul palmo della mano di Letta jr.,
l’impavido fondatore del nuovo centrodestra liberale ed europeo, esortato dal
Pd a mollare definitivamente il Pdl per “chiudere in ventennio” del Caimano.
Eppure, solo tre mesi fa, per gli stessi che oggi lo portano in trionfo era un
ministro incapace che non s’era accorto del sequestro e della deportazione di
Olga Shalabayeva e Alma Ablyazov, moglie e
figlioletta di un noto dissidente Kazako, ordinati nei suoi uffici ai
suoi più stretti collaboratori da diplomatici di Astana. Un ministro che poi
aveva mentito al Parlamento, subito sbugiardato dal suo capo di gabinetto
Giuseppe Procaccini. “ Se Alfano sapeva e ci sono fatti acclarati”, tuonò il
segretario pd Guglielmo Epifani, “ va da sé che si deve dimettere. Ma se non
sapeva, mi domando perché tutto è stato fatto a sua insaputa, cosa c’è dietro e
sarebbe ancora più inquietante”. Gianni Cuperlo, dopo averlo sentito alla
Camera, lo invitò a sloggiare: “Ricostruzione largamente insoddisfacente.
Abbiamo ceduto una quota della nostra sovranità nazionale a una dittatura che
viola sistematicamente i diritti umani. Il ministro rimetta deleghe e mandato
al presidente del Consiglio”. “L’intervento di Alfano in Parlamento è stato una
mezza barzelletta, una presa in giro”, s’indignò Felice Casson: “Una relazione
piena di buchi, le cose non sono andate così”.
E Anna Finocchiaro: “Sarebbe atto di responsabilità
istituzionale se Alfano rimettesse la delega. Il governo non deve archiviare la
questione: le dimissioni di Alfano rafforzerebbero l’esecutivo”. “ Se fossi in
lui”, rincarò Massimo D’Alema, “andrei dal presidente del Consiglio e
rimetterei le deleghe: il ministro dell’Interno non ha più la fiducia
dell’apparato e questa è una minaccia per la democrazia”. Poi naturalmente il
Pd votò contro le mozioni di sfiducia individuale di M5S e Sel, ma confermò con
Epifani che “il caso Shalabayeva non è chiuso perché restano molte
ombre”.Matteo Orfini svelò: “Abbiamo ottenuto rassicurazioni che il Pd farà
pressing per chiedere ad Alfano di rimettere le deleghe”. Il Capogruppo Luigi
Zanda confermò: “Il caso non è chiuso : è nostro dovere esprimere un giudizio
molto severo sull’espulsione, sulle responsabilità degli apparati e anche
dell’autorità politica”, cioè del ministro Alfano.
Che Non E’ Colpevole per “responsabilità oggettiva”, come
si era affrettato a dire Giorgio Napolitano, ma per la “responsabilità
politica prevista dalla Costituzione. Il
ministro spieghi come sapeva che i problemi che l’ambasciatore Kazako poneva
sarebbero stati molto delicati. Forse doveva conoscere qualcosa sul perché di
questa delicatezza”. Epifani spiegò che il no alla sfiducia serviva solo a
salvare il governo, ma l’ ” inaudito” scandalo “merita le dimissioni di Alfano”
per la nostra “totale cessione di sovranità” al regime Kazako: “Sembra che un
ambasciatore straniero si sia incuneato nel nostro sistema e sia riuscito a
portar via una donna e una bambina senza che nessuno lo abbia fermato”, il che
basta e avanza a far ritenere “opportuno
un passo indietro di Alfano”. E evocò addirittura un rimpasto: “Il governo si è
indebolito” e ha bisogno di “un profilo più autorevole: a settembre dovrà
ricalibrare il suo programma e la sua forza”. Fortuna per Alfano che a
difenderlo, oltre a Napolitano e Letta jr., c’era Berlusconi: “Angelino non si
tocca”. Ma anche essa Micaela Biancofiore: “Alfano è sotto attacco volgare e
ingiustificato per colpire Letta e il governo di larghe intese. Il vicepremier
uscirà indenne da questo assalto non solo perché non ha responsabilità, ma
anche perché, come nel caso Berlusconi, per noi vale il detto latino “Simul
stabunt, simul cadent”. Ma anche la pitonessa Daniela Santanchè: “Il partito di
Repubblica vuole usare Alfano come bomba umana per far esplodere l’esecutivo
per l’interesse di Renzi”. Da allora il ministro a sua insaputa non ha più
dichiarato nulla, ma chi strillava che “il caso non è chiuso” l’ha mandato in
prescrizione. Era metà luglio: come passa il tempo.
Marco Travaglio – L’Espresso – 17 Ottobre 2013
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