Ignoranti e Perdenti
In Italia si legge poco
e quel poco non si capisce. Né si sanno interpretare i numeri.
Bisogna riportare la
cultura là dove la gente può scoprirla: in tv e sulla Rete
L’8 ottobre l’Istituto per lo sviluppo della formazione
professionale dei lavoratori (Isfol) ha reso noti i risultati di un’indagine
curata dall’Ocse, il Programme for the International assessment of adult
competencies (Piaac). Un’indagine, condotta nei 24 paesi che hanno aderito su
un campione accuratamente selezionato di adulti in età da lavoro, tra i 16 e 1
65 anni, che riguarda le capacità di lettura e comprensione di testi scritti
(literacy) e le capacità di problem solving.
L’Italia Risulta all’ultimo posto per literacy, al
penultimo per numeracy e non ha consegnato i dati per problem solving. I
ministri dell’Istruzione e del Lavoro commentano questo risultato, che definire
deludente è un eufemismo, promettendo “un’inversione di marcia” e puntano i
fari – come categoria più esposta – su quelli che chiamano Neet (Not in
Education, Employement or Training), ovvero persone che hanno smesso la loro
formazione e che non hanno ancora avuto accesso al mondo del lavoro.
A questo proposito ho letto un articolo di Tullio De Mauro
che metteva in guardia dal puntare il dito solo sulla scuola, per analizzare
invece – cosa infinitamente più proficua – le storie dei singoli Stati aderenti
al programma. Una cattiva scuola non è necessariamente colpevole di un alto
tasso di analfabetismo, ma la mancata attitudine a leggere libri e a tenersi
informati sì. E le politiche che i singoli Stati hanno messo in atto nel corso
degli ultimi secoli riguardo all’alfabetizzazione sono alla base della
situazione attuale e degli scarsissimi risultati che il nostro Paese consegue
quando partecipa a questo genere di studi. Sullo stesso argomento, Tito Boeri
affronta la questione da economista e dà le cifre sul tasso di scolarità,
bassissimo nei paesi in coda alla classifica. E il governo, pur promettendo un
inversione di tendenza, abbassa la spesa per l’istruzione dal 10 all’8 per
cento della spesa totale.
Questi i fatti, cui bisognerebbe prestare la massima
attenzione; le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi. Una società che non
comprende ciò che legge e che non sa utilizzare le proprie conoscenze
matematiche per interpretare i numeri riportati sui giornali o che sente in
televisione, è una società schiava di chi la governa. Non è in grado di
valutarne il lavoro, non è in grado di valutare le competenze dei singoli
membri, nemmeno di quelli territorialmente più vicini, penso agli
amministratori locali. Una società i cui membri sono vittime di quello che
viene comunemente chiamato “analfabetismo di ritorno”, ovvero l’incapacità di
stare al passo con le rivoluzioni tecnologiche che investono la vita di ogni
giorno e il mondo del lavoro, è una società che in larga parte non s trovare
percorsi alternativi a quelli già segnati.
Cito De Mauro che una volta ha detto, riguardo agli italiani
alle urne: “Molti sono spinti a votare più con la pancia che con la testa”. A
questo si aggiunge una legge elettorale iniqua che ha raggiunto l’unico
risultato possibile: quello di far credere agli elettori che dal momento che
tutta la politica viene ritenuta marcia, tanto vale votare il politico che
potrà fare, all’occorrenza, il favore che serve. Una licenza, un posto auto, un
letto d’ospedale.
Come Se Ne Esce? La strada è una sola: puntare
sull’istruzione, arginare la dispersione scolastica soprattutto nelle aree del
Sud più colpite dal fenomeno. Non ci sono altre soluzioni. Inutile pensare che
giornalisti e scrittori facciano male il proprio mestiere. Inutile prendersela
con gli editori. Se non c’è abitudine a leggere e l’Italia è un paese di
lettori deboli (tra gli italiani considerati lettori una percentuale altissima
legge un solo libro all’anno), non ha alcuna importanza che la stampa assolva
male il compito di informare i cittadini o che le librerie siano intasate da
libri di cucina (posto che ce ne sono di interessantissimi). Non ha importanza
che la critica letteraria nel nostro Paese sia sempre più marginalizzata
lasciando spazio a figure di critici improvvisati (molta parte dei nuovi
critici ormai sono spesso pessimi scrittori che cercano di farsi largo
mostrandosi crudeli e cinici, e colmando con la spietatezza e il gossip la
mancanza di analisi).
Tutto questo non ha importanza se non si comprende che la
letteratura deve entrare proprio dove per molti entrare è sinonimo di
sconfitta, o di pubblicità. E cioè in televisione e sul Web. A febbraio del
2012 lessi delle poesie di Wislawa Szymborska in televisione – poesie! – e nei
giorni seguenti “La gioia di vivere” (Adelphi) scala le classifiche dei libri
più venduti e arriva ai primi posti. La
poesia veniva considerata senza mercato. Qualche giorno fa sulla mia pagine Facebook
ho consigliato un libro che mi è capitato tra le mani, “L’utilità dell’inutile”
(Bompiani) di Nuccio Ordine. In due giorni è diventato il secondo libro più
venduto su Amazon. Se l’abitudine alla lettura in Italia sembra non risiedere
più nei suoi luoghi d’elezione, dobbiamo iniziare ad aprirle altri spazi.
Potremmo scoprire che ne vale la pena.
Roberto Saviano – L’Espresso – 31 Ottobre 2013
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