Se Ogni Scontro Tra Idee Diverse Finisce In Duello
Si dialoga non quando si cerca di sopraffare l’avversario,ma quando da
posizioni diverse, si cerca insieme ciò che è meglio per la città
Qualche settimana fa ho letto su Repubblica che, accanto a un chiosco di
alcolici, un moscovita avrebbe sparato a un altro moscovita con cui era venuto
a diverbio per un dissenso sull’opera di Kant. Lasciando perdere il contesto
alcolico, litigare per l’opera di Kant non è poi un sorpasso indebito. Sempre
si mette in gioco il puntiglio dell’offesa, e anche la discussione
intellettuale diventa un campo di battaglia in cui si diventa avversari e in
cui uno deve sbaragliare l’altro. La contesa si scatena perché la conoscenza si
trasforma in desiderio di primato e qualche volta di sopraffazione. In questo
senso discutere per Kant è inessenziale: essenziale diventa esercitare un
potere, vincere una partita. Morale? La conoscenza non rende probabilmente
migliori se non si trasforma in comprensione, se non muta profondamente le prospettive
del dubbio e della accoglienza. Non ha imparato nulla di Kant chi spara per
Kant, e sparare per Kant diventa un vero e proprio paradosso, un bell’esempio
di ciò a cui la cultura non dovrebbe condurre mai.
Postilla: le manifestazioni dell’urlo
catodico e digitale che sia – ossia segnatamente televisivo – ne sono la
manifestazione più volgare, la più esibita ed esibizionista delle fiere
vocianti e dell’incultura mediatica.
Giovanni Tesio
giovannitesio@tiscali.it Venerdì di Repubblica -19 Ottobre 2013
L’episodio che lei riferisce mi pare
istruttivo, non nel senso, come i pià credono, che per le idee filosofiche non
è il caso di ammazzare (il che lascia supporre che per altre ragioni è
possibile e, per alcuni, anche giustificabile), ma nel senso che ammazzando si
tradisce quello che dovrebbe essere l’atteggiamento “filosofico”, che Platone
distingue da quello “eristico” che non cerca la verità, ma solo la
sopraffazione dell’avversario.
Tra le ragioni per cui la
“filo-sofia”, ha questo nome, una essenziale è che, per cercare la verità o per
approfondire una conoscenza, è necessario essere amici (philoi) ma non nel senso di essere tutti dello stesso parere,
perché i filosofi sanno che si dà “dia-logo”
solo se c’è contrapposizione di pareri (tutte le parole greche che
cominciano con “dia” segnalano infatti la massima distanza, come “dia-metro”
che indica la massima distanza tra due punti della circonferenza, o come
“dia-volo” che segnala la personificazione della massima distanza da Dio).
Il Dialogo quindi non è una cosa
tranquilla, come solitamente si crede, ma come diceva Eraclito, è una guerra (polemos), condotta però non per averla
vinta sull’avversario, ma per cercare, a partire dai diversi pareri, la verità.
Al punto che, scrive Platone a più riprese, se l’avversario adduce argomenti
troppo deboli o insufficienti a sostenere la propria tesi, invece di
approfittarne per metterlo fuori gioco e umiliarlo, occorre andargli in
“soccorso (boétheia)”.
Una delle ragioni, anche se non la
principale, per cui Platone riteneva che la politica dovesse essere affidata ai
filosofi è nel fatto che i filosofi, a differenza degli eristici, hanno in
vista la verità, e in politica il bene comune, piuttosto che non la difesa
strenua della propria parte (in politica del proprio partito) a prescindere da
aciò che è meglio per la città.
Ne sono una prova i talk show
politici, dove vediamo prevalere l’atteggiamento eristico rispetto a quello
filosofico, l’inimicizia e la vo
Di sopraffare l’avversario piuttosto
che la ricerca di ciò che sarebbe giusto fare, pur partendo da posizioni
distanti. E questo perché in televisione non si “dialoga”.Non tanto perchè si
sovrappongono le voci, quando non le grida, ma perché ciascuno tratta l’altro
non come un interlocutore con cui discutere, ma come un pretesto per
sopraffarlo onde riscuotere successo presso il pubblico televisivo.
Questa è la falsificazione di tutti i
talk show televisivi: si finge di parlare con il proprio interlocutore, ma in
realtà si parla al pubblico per mostrare la propria superiorità rispetto
all’avversario. Ciò che si cerca, infatti, non è la “verità”, ma la propria
“vittoria” su quanti partecipano alla trasmissione. E siccome in televisione
non si può articolare un ragionamento, ma si deve procedere per frasi ad
effetto, slogan, dettati ipnotici, per i tempi ristretti imposti dal mezzo
televisivo, i talk show sono del tutto inutili perché non chiariscono le idee a
nessuno, ma si limitano a confermare nel pubblico le idee che già si possiedono
a partire dalla propria appartenenza, qualcosa di simile al tifo sugli spalti
di un campo di calcio.
Umbertogalimberti@repubblica.it
– Venerdì di
Repubblica – 18 – Ottobre 2013
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