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mercoledì 23 ottobre 2013

Lo Sapevate Che: Idee Diverse...

  
Se Ogni Scontro Tra Idee Diverse Finisce In Duello

Si dialoga non quando si cerca di sopraffare l’avversario,ma quando da posizioni diverse, si cerca insieme ciò che è meglio per la città

Qualche settimana fa ho letto su Repubblica che, accanto a un chiosco di alcolici, un moscovita avrebbe sparato a un altro moscovita con cui era venuto a diverbio per un dissenso sull’opera di Kant. Lasciando perdere il contesto alcolico, litigare per l’opera di Kant non è poi un sorpasso indebito. Sempre si mette in gioco il puntiglio dell’offesa, e anche la discussione intellettuale diventa un campo di battaglia in cui si diventa avversari e in cui uno deve sbaragliare l’altro. La contesa si scatena perché la conoscenza si trasforma in desiderio di primato e qualche volta di sopraffazione. In questo senso discutere per Kant è inessenziale: essenziale diventa esercitare un potere, vincere una partita. Morale? La conoscenza non rende probabilmente migliori se non si trasforma in comprensione, se non muta profondamente le prospettive del dubbio e della accoglienza. Non ha imparato nulla di Kant chi spara per Kant, e sparare per Kant diventa un vero e proprio paradosso, un bell’esempio di ciò a cui la cultura non dovrebbe condurre mai.
Postilla: le manifestazioni dell’urlo catodico e digitale che sia – ossia segnatamente televisivo – ne sono la manifestazione più volgare, la più esibita ed esibizionista delle fiere vocianti e dell’incultura mediatica.
Giovanni Tesio
giovannitesio@tiscali.it  Venerdì di Repubblica -19 Ottobre 2013

L’episodio che lei riferisce mi pare istruttivo, non nel senso, come i pià credono, che per le idee filosofiche non è il caso di ammazzare (il che lascia supporre che per altre ragioni è possibile e, per alcuni, anche giustificabile), ma nel senso che ammazzando si tradisce quello che dovrebbe essere l’atteggiamento “filosofico”, che Platone distingue da quello “eristico” che non cerca la verità, ma solo la sopraffazione dell’avversario.
Tra le ragioni per cui la “filo-sofia”, ha questo nome, una essenziale è che, per cercare la verità o per approfondire una conoscenza, è necessario essere amici (philoi) ma non nel senso di essere tutti dello stesso parere, perché i filosofi sanno che si dà “dia-logo”  solo se c’è contrapposizione di pareri (tutte le parole greche che cominciano con “dia” segnalano infatti la massima distanza, come “dia-metro” che indica la massima distanza tra due punti della circonferenza, o come “dia-volo” che segnala la personificazione della massima distanza da Dio).
Il Dialogo quindi non è una cosa tranquilla, come solitamente si crede, ma come diceva Eraclito, è una guerra (polemos), condotta però non per averla vinta sull’avversario, ma per cercare, a partire dai diversi pareri, la verità. Al punto che, scrive Platone a più riprese, se l’avversario adduce argomenti troppo deboli o insufficienti a sostenere la propria tesi, invece di approfittarne per metterlo fuori gioco e umiliarlo, occorre andargli in “soccorso (boétheia)”.
Una delle ragioni, anche se non la principale, per cui Platone riteneva che la politica dovesse essere affidata ai filosofi è nel fatto che i filosofi, a differenza degli eristici, hanno in vista la verità, e in politica il bene comune, piuttosto che non la difesa strenua della propria parte (in politica del proprio partito) a prescindere da aciò che è meglio per la città.
Ne sono una prova i talk show politici, dove vediamo prevalere l’atteggiamento eristico rispetto a quello filosofico, l’inimicizia e la vo
Di sopraffare l’avversario piuttosto che la ricerca di ciò che sarebbe giusto fare, pur partendo da posizioni distanti. E questo perché in televisione non si “dialoga”.Non tanto perchè si sovrappongono le voci, quando non le grida, ma perché ciascuno tratta l’altro non come un interlocutore con cui discutere, ma come un pretesto per sopraffarlo onde riscuotere successo presso il pubblico televisivo.
Questa è la falsificazione di tutti i talk show televisivi: si finge di parlare con il proprio interlocutore, ma in realtà si parla al pubblico per mostrare la propria superiorità rispetto all’avversario. Ciò che si cerca, infatti, non è la “verità”, ma la propria “vittoria” su quanti partecipano alla trasmissione. E siccome in televisione non si può articolare un ragionamento, ma si deve procedere per frasi ad effetto, slogan, dettati ipnotici, per i tempi ristretti imposti dal mezzo televisivo, i talk show sono del tutto inutili perché non chiariscono le idee a nessuno, ma si limitano a confermare nel pubblico le idee che già si possiedono a partire dalla propria appartenenza, qualcosa di simile al tifo sugli spalti di un campo di calcio.

Umbertogalimberti@repubblica.itVenerdì di Repubblica – 18 – Ottobre 2013

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