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venerdì 4 ottobre 2013

Lo Sapevate Che: Cécile Kyenge...


Kyenge All’Onu E L’Italia Mostra
Il Suo Lato Migliore

Ve l’immaginate Cécile Kyenge in missione di lavoro a New York? Io non ho bisogno di fare uno sforzo di fantasia, visto che il nostro ministro era qui di recente. Ma vederla qui, in un contesto così lontano dalla sua Italia, mi ha costretto a immedesimarmi nei suoi panni. Cercando di percepire il suo shock culturale, nel paragone con l’Italia.
In giro per Manhattan, vuol dire per lei muoversi in una città dove un terzo dei passeggeri del metrò sono neri, dov’è circondata da gente che le assomiglia in tutto e per tutto: hanno lo stesso colore della pelle e sono medici come lei, o docenti universitari, avvocati, professionisti, manager di Wall Street, candidati sindaci della più grande città americana. O anche ministri come lei, nel caso di quelli che ha incontrato alle Nazioni Unite (a fianco del presidente Barack Obama nella sua amministrazione abbiamo Susan Rice numero uno della sicurezza nazionale, Eric Holder segretario alla Giustizia, Valérie Jarret nella cerchia dei consiglieri più autorevoli). E tutti qui a chiederle, naturalmente, degli insulti ricevuti in Italia.
Purtroppo sì, quegli insulti hanno fatto notizia ancor più della sua nomina. Che l’Italia abbia finalmente al governo una cittadina nata all’estero ed espressione delle nostre numerose minoranze etniche, qui viene considerato un fatto normale, ovvio e scontato. Le aggressioni razziste, tradotte dai giornali americani, quelle invece lasciano allibiti. Riportano indietro gli americani, a un passato che considerano ignominioso.
Di quel passato gli americani hanno discusso molto, quest’anno. Il 28 agosto sono stato nella folla festosa che marciava su Washington per commemorare un’altra manifestazione imponente: quella di 50 anni fa che segnò l’apice del movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther King. Anche Hollywood ha saputo essere all’altezza dell’occasione e nel giro degli ultimi mesi ci ha offerto quattro rivisitazioni storiche di qualità, sulla questione razziale a partire dalla tragedia dello schiavismo: Lincoln di Spielberg, Django di Tarantino, The Butler (il maggiordomo di otto presidenti) con Forest Whitaker, e ora 12Years a Slave di Steve McQueen.
Come ha ricordato Obama nel commentare la marcia su Washington del 1963, oggi resta l’eredità economico-sociale di quel periodo, nel segno etnico. Neri E ispanici diseguaglianze hanno i tassi di disoccupazione più elevati. Ma è impossibile negare che anche per loro il progresso è stato notevole rispetto a mezzo secolo fa, lo si misura nei tassi d’istruzione, nell’ascesa fra le élite culturali, professionali, imprenditoriali.
Soprattutto, dove l’America ha voltato pagina, è nella qualità del suo discorso pubblico. Un politico che osasse pronunciare frasi offensive verso una minoranza – non solo gli afroamericani – verrebbe messo ai margini, condannato, squalificato anche dai suoi alleati e compagni di partito. L’offesa razzista è ormai considerata barbarie, non ha diritto di cittadinanza. Tra i giovani è particolarmente forte questa ripulsa. Purtroppo sappiamo che non è la stessa cosa in Italia, e anche per le nuove generazioni: mi è capitato di sentire proprio da adolescenti americani di ritorno da una vacanza italiana, lo sconcerto per il razzismo che ancora esiste tra i loro coetanei. La Kyenge non l’avevo mai incontrata personalmente. Abbiamo passato una serata assieme durante una conferenza delle Nazioni Unite. Molti le chiedevano, appunto un parere sull’Italia e un commento ai tanti insulti ricevuti. La sua reazione mi ha colpito. Pacata, quasi distaccata. “Non ho mai preso quegli insulti come un fatto personale”. “L’Italia nell’insieme non è un paese razzista, la cultura sta cambiando anche da noi”. “Non conta l’atteggiamento verso di me, ma bisogna fare rispettare l’istituzione che rappresento”.
Non capita spesso, da queste parti, di vedere in trasferta un ministro italiano che offre una simile lezione di stile, compostezza, civiltà. Non so se abbia convinto davvero gli americani, ma lei ne è uscita ancora una volta come una persona molto per bene. -

Federico Rampini – Donna di Repubblica – 28 Settembre - 2013

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