Kyenge All’Onu E
L’Italia Mostra
Il Suo Lato Migliore
Ve l’immaginate Cécile Kyenge in missione di lavoro a New
York? Io non ho bisogno di fare uno sforzo di fantasia, visto che il nostro
ministro era qui di recente. Ma vederla qui, in un contesto così lontano dalla
sua Italia, mi ha costretto a immedesimarmi nei suoi panni. Cercando di
percepire il suo shock culturale, nel paragone con l’Italia.
In giro per Manhattan, vuol dire per lei muoversi in una
città dove un terzo dei passeggeri del metrò sono neri, dov’è circondata da
gente che le assomiglia in tutto e per tutto: hanno lo stesso colore della
pelle e sono medici come lei, o docenti universitari, avvocati, professionisti,
manager di Wall Street, candidati sindaci della più grande città americana. O
anche ministri come lei, nel caso di quelli che ha incontrato alle Nazioni
Unite (a fianco del presidente Barack Obama nella sua amministrazione abbiamo
Susan Rice numero uno della sicurezza nazionale, Eric Holder segretario alla
Giustizia, Valérie Jarret nella cerchia dei consiglieri più autorevoli). E
tutti qui a chiederle, naturalmente, degli insulti ricevuti in Italia.
Purtroppo sì, quegli insulti hanno fatto notizia ancor più
della sua nomina. Che l’Italia abbia finalmente al governo una cittadina nata
all’estero ed espressione delle nostre numerose minoranze etniche, qui viene
considerato un fatto normale, ovvio e scontato. Le aggressioni razziste,
tradotte dai giornali americani, quelle invece lasciano allibiti. Riportano
indietro gli americani, a un passato che considerano ignominioso.
Di quel passato gli americani hanno discusso molto,
quest’anno. Il 28 agosto sono stato nella folla festosa che marciava su
Washington per commemorare un’altra manifestazione imponente: quella di 50 anni
fa che segnò l’apice del movimento per i diritti civili guidato da Martin
Luther King. Anche Hollywood ha saputo essere all’altezza dell’occasione e nel
giro degli ultimi mesi ci ha offerto quattro rivisitazioni storiche di qualità,
sulla questione razziale a partire dalla tragedia dello schiavismo: Lincoln di Spielberg, Django di
Tarantino, The Butler (il maggiordomo
di otto presidenti) con Forest Whitaker, e ora 12Years a Slave di Steve McQueen.
Come ha ricordato Obama nel commentare la marcia su
Washington del 1963, oggi resta l’eredità economico-sociale di quel periodo,
nel segno etnico. Neri E ispanici diseguaglianze hanno i tassi di
disoccupazione più elevati. Ma è impossibile negare che anche per loro il progresso
è stato notevole rispetto a mezzo secolo fa, lo si misura nei tassi
d’istruzione, nell’ascesa fra le élite culturali, professionali,
imprenditoriali.
Soprattutto, dove l’America ha voltato pagina, è nella
qualità del suo discorso pubblico. Un politico che osasse pronunciare frasi
offensive verso una minoranza – non solo gli afroamericani – verrebbe messo ai
margini, condannato, squalificato anche dai suoi alleati e compagni di partito.
L’offesa razzista è ormai considerata barbarie, non ha diritto di cittadinanza.
Tra i giovani è particolarmente forte questa ripulsa. Purtroppo sappiamo che
non è la stessa cosa in Italia, e anche per le nuove generazioni: mi è capitato
di sentire proprio da adolescenti americani di ritorno da una vacanza italiana,
lo sconcerto per il razzismo che ancora esiste tra i loro coetanei. La Kyenge
non l’avevo mai incontrata personalmente. Abbiamo passato una serata assieme
durante una conferenza delle Nazioni Unite. Molti le chiedevano, appunto un
parere sull’Italia e un commento ai tanti insulti ricevuti. La sua reazione mi
ha colpito. Pacata, quasi distaccata. “Non ho mai preso quegli insulti come un
fatto personale”. “L’Italia nell’insieme non è un paese razzista, la cultura
sta cambiando anche da noi”. “Non conta l’atteggiamento verso di me, ma bisogna
fare rispettare l’istituzione che rappresento”.
Non capita spesso, da queste parti, di vedere in trasferta un
ministro italiano che offre una simile lezione di stile, compostezza, civiltà.
Non so se abbia convinto davvero gli americani, ma lei ne è uscita ancora una
volta come una persona molto per bene. -
Federico Rampini – Donna di Repubblica – 28 Settembre - 2013
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