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venerdì 12 gennaio 2018

Lo Sapevate Che: Siamo tutti prodotti da social. E c'è chi ci "vende"...

Siamo Tutti Cavie di una grande manipolazione, che lo sappiamo o no. Forse più di quanto immaginate. Sono stato avvicinato da una grande società di marketing, una multinazionale con sedi in tutto il mondo, Italia inclusa. Mi hanno proposto di gestire la mia immagine sui social media. A pagamento, ovviamente. Poiché la mia audience principale è italiana (siete voi), hanno approfittato di un mio recente passaggio a Milano per sottopormi il loro piano. Mi hanno mandato due ragazzi giovani, molto preparati, professionali, simpatici. Si sono presentati all’appuntamento con un dossier scientifica su di me. O per essere precisi: su Federico Rampini come persona digitale, in quanto esiste sui social media, ha follower, suscita commenti, reazioni, odio o consenso, ecc. Avevano studiato per mesi la mia presenza su Facebook e Twitter, e le reazioni del pubblico. Avevano creato dei profili “concorrenti”, facendo lo stesso tipo di analisi per altri tre giornalisti italiani (non dirò i nomi). Dopo l’analisi, la diagnosi: potrei fare molto di più e molto meglio. Con il loro aiuto. Mi hanno confezionato un piano strategico impressionante. Arriva a calcolare qual è l’ora migliore della giornata per twittare, in modo da avere il massimo impatto. Se sono ospite di un talkshow televisivo mi rivelano come amplificare le reazioni a quello che ho detto. Propongono di accompagnarmi, guidarmi, sollecitarmi, con un approccio di marketing collaudato. In modo da saltare la mia presenza sui social, surclassando i “concorrenti “. La presentazione è durata 55 minuti, ed era il primo approccio. Se gli avessi dato un cenno d’incoraggiamento, sarebbero tornati con analisi ancora più precise e un piano di battaglia nei minimi dettagli. Mi hanno stordito, sbalordito. Avevo le vertigini. Ovvero il mondo dei social media letteralmente dalla nascita (la sua, s’intende): abitavo a San Francisco quando i miei figli hanno cominciato a usare Facebook, ed era davvero una cosetta per studenti (lo ha raccontato Zuckerberg, neppure lui aveva mai sognato due miliardi di utenti). Ho visto i social crescere a dismisura. Li ho frequentati personalmente con parsimonia, anzi poco. Sono su Twitter e Facebook, ma la ma attività è modesta. Non uso Instagram. Il più grande network cinese, Weixin o WeChat, mi serve solo per comunicare con i tre figli adottivi che vivono là. Ho creduto che un uso “industriale” fosse per celebrity vere: da Federer a Beyoncé, insomma. Se sei una popstar, non mi stupisce che tu debba gestire la tua immagine così. Con l’audience che hanno i Rolling Stones o Vasco Rossi, è logico che abbiano addetti alle relazioni pubbliche, e oggi quel tipo di promozione transita anche sui social Esattamente come un’azienda, ormai, cura anche su Facebook il lancio di un nuovo prodotto.  Ho qualche dubbio se si passa ad altre categorie. Il tempo che i politici passano a twittare potrebbe essere dedicato a studiare come risolvere i problemi del paese. O a consultare i cittadini. Ah, ma qui mi si obietta: ai nostri tempi è proprio attraverso i social che si dialoga. Davvero? Con tutti, o con quella categoria che si auto- seleziona in quanto più vociferante sul web? È lo stesso dubbio che ho su me stesso o altri giornalisti e scrittori. Immersi nel frastuono virtuale, quanto riserviamo della nostra testa e del nostro cuore al lavoro più importante? Che per me rimane scrivere, articoli o libri. Vorrei riuscire a privilegiare la profondità. Ma i due giovani esperti mi hanno guardato come un dinosauro. Torneranno alla carica. Quei ragazzi sono certi di potermi trasformare in un Rampini più simpatico, o più chiacchierato, comunque più visibile. Siamo cavie e l’esperimento continuerà, con o senza di me è irrilevante.

Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica 30 settembre 2017 -

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