Siamo Tutti Cavie di una grande manipolazione, che lo
sappiamo o no. Forse più di quanto immaginate. Sono stato avvicinato da una
grande società di marketing, una multinazionale con sedi in tutto il mondo,
Italia inclusa. Mi hanno proposto di gestire la mia immagine sui social media.
A pagamento, ovviamente. Poiché la mia audience principale è italiana (siete
voi), hanno approfittato di un mio recente passaggio a Milano per sottopormi il
loro piano. Mi hanno mandato due ragazzi giovani, molto preparati,
professionali, simpatici. Si sono presentati all’appuntamento con un dossier
scientifica su di me. O per essere precisi: su Federico Rampini come persona
digitale, in quanto esiste sui social media, ha follower, suscita commenti,
reazioni, odio o consenso, ecc. Avevano studiato per mesi la mia presenza su
Facebook e Twitter, e le reazioni del pubblico. Avevano creato dei profili
“concorrenti”, facendo lo stesso tipo di analisi per altri tre giornalisti italiani
(non dirò i nomi). Dopo l’analisi, la diagnosi: potrei fare molto di più e
molto meglio. Con il loro aiuto. Mi hanno confezionato un piano strategico
impressionante. Arriva a calcolare qual è l’ora migliore della giornata per
twittare, in modo da avere il massimo impatto. Se sono ospite di un talkshow
televisivo mi rivelano come amplificare le reazioni a quello che ho detto.
Propongono di accompagnarmi, guidarmi, sollecitarmi, con un approccio di
marketing collaudato. In modo da saltare la mia presenza sui social,
surclassando i “concorrenti “. La presentazione è durata 55 minuti, ed era il
primo approccio. Se gli avessi dato un cenno d’incoraggiamento, sarebbero
tornati con analisi ancora più precise e un piano di battaglia nei minimi
dettagli. Mi hanno stordito, sbalordito. Avevo le vertigini. Ovvero il mondo
dei social media letteralmente dalla nascita (la sua, s’intende): abitavo a San
Francisco quando i miei figli hanno cominciato a usare Facebook, ed era davvero
una cosetta per studenti (lo ha raccontato Zuckerberg, neppure lui aveva mai
sognato due miliardi di utenti). Ho visto i social crescere a dismisura. Li ho
frequentati personalmente con parsimonia, anzi poco. Sono su Twitter e
Facebook, ma la ma attività è modesta. Non uso Instagram. Il più grande network
cinese, Weixin o WeChat, mi serve solo per comunicare con i tre figli adottivi
che vivono là. Ho creduto che un uso “industriale” fosse per celebrity vere: da
Federer a Beyoncé, insomma. Se sei una popstar, non mi stupisce che tu debba gestire
la tua immagine così. Con l’audience che hanno i Rolling Stones o Vasco Rossi,
è logico che abbiano addetti alle relazioni pubbliche, e oggi quel tipo di
promozione transita anche sui social Esattamente come un’azienda, ormai, cura
anche su Facebook il lancio di un nuovo prodotto. Ho qualche dubbio se si passa ad altre
categorie. Il tempo che i politici passano a twittare potrebbe essere dedicato
a studiare come risolvere i problemi del paese. O a consultare i cittadini. Ah,
ma qui mi si obietta: ai nostri tempi è proprio attraverso i social che si
dialoga. Davvero? Con tutti, o con quella categoria che si auto- seleziona in
quanto più vociferante sul web? È lo stesso dubbio che ho su me stesso o altri
giornalisti e scrittori. Immersi nel frastuono virtuale, quanto riserviamo
della nostra testa e del nostro cuore al lavoro più importante? Che per me
rimane scrivere, articoli o libri. Vorrei riuscire a privilegiare la
profondità. Ma i due giovani esperti mi hanno guardato come un dinosauro.
Torneranno alla carica. Quei ragazzi sono certi di potermi trasformare in un
Rampini più simpatico, o più chiacchierato, comunque più visibile. Siamo cavie
e l’esperimento continuerà, con o senza di me è irrilevante.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica 30
settembre 2017 -
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