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domenica 14 gennaio 2018

Lo Sapevate Che: Quello che voglio dal 2018 (grazie, Hemingway!)...

Secondo Ernest Hemingway, uno scrittore che lavora a un romanzo deve posare la penna a fine giornata solo quando sa cosa scriverà dopo. La visione del futuro è fondamentale per procedere nel presente. Vale per gli autori che sperimentano l’ebrezza dell’onnipotenza nel raccontare una storia e i suoi personaggi, ma vale anche per tutti noi che, pur privi di superpoteri, abbiamo il problema, che è anche un privilegio, di procedere e di progettare il domani pur non potendo scriverlo. Per questo, dovremmo impedire al 2018 di cominciare prima di avere fatto piani. Non c’era niente di peggio che lasciare che il tempo passi invano, niente di più triste che non avere sogni, niente di più autodistruttivo che lasciarsi vivere, Per questo dobbiamo sapere cosa vogliamo dal nuovo anno prima di archiviare il precedente. E per questo la redazione dell’elenco dei buoni propositi è una pratica necessaria, virtuosa e obbligatoria. E poiché per pensare in grande bisogna partire dal piccolo, comincerò da un proponimento banale e realizzabile, ma così luminoso da accecarmi. Per primi 11 mesi del 2017 non ho messo piede in un cinema, anche se un tempo ci andavo più volte la settimana e non riuscivo a immaginare la mia vita lontana da un grande schermo. Poi, per un improvviso attacco di nostalgia, a dicembre ci sono andata tre volte in tre giorni. E sono stata felice perché i film, come i libri, dilatano orizzonti e pensieri. La mente è una piantina che va bagnata e accudita. Se trascurata avvizzisce, se malnutrita si fa brutta e cattiva, se lasciata sola diventa egocentrica e fastidiosa. Voglio riempire il mio annaffiatoio di film, parole scritte e dette, conversazioni dense e futili, musica (persino quella aliena e discutibile che mi consiglia l’adolescente di casa), scoperte, bellezza e anche qualche tavoletta di cioccolata che non guasta mai. Voglio rincorrere una me stessa migliore senza paura dello scorrere del tempo, che certo regala anni, rughe, qualche acciacco e la pelle secca, ma anche consapevolezza, gratitudine, una saggezza ironica e disincantata, un maggior equilibrio e la misteriosa forma magica della nostra personale felicità. Nel 2018 vorrei buttare in un cassonetto il mio Super Io ipercritico e imbronciato. Vorrei avere la pazienza di ascoltare, di accettare, di accogliere, di sorvolare. Ma anche il coraggio di negarmi, di proteggermi, di alzare la voce. Vorrei riuscire a smettere di pensare che l’altro è sempre migliore di me. Vorrei piantarla di chiedere scusa anche quando ho ragione. Perché non sempre il quieto vivere ci rende giustizia. Vorrei essere una madre lieve ma solida. Vorrei dare l’esempio ma non la direzione, essere un modello ma non un limite. Con i figli correi continuare a ridere e a giocare e a chiacchierare e a divertirmi, lasciando le porte aperte e una libreria e un frigo pieni. Vorrei dare un porto dove tornare e mostrare confini fa superare. Vorrei stare loro simpatica. E che non mi odiassero quando li sgriderò selvaggiamente. Vorrei una stanza tutta per me, in cui invitare mio marito, a festeggiare quel mix miracoloso e laborioso di un amore duraturo, che non va lasciato a infeltrire come i maglioni. E poi vorrei continuare a mentire a mio figlio maggiore quando mi chiede di ripassare con lui i verbi latini o le declinazioni in greco. Io, ipocrita, gli rispondo: “Sì, dai! Che Bello! Speravo me lo domandassi”. Perché a me la grammatica delle lingue morte ha sempre fatto orrore, e dei miei anni del liceo ho fatto tabula rasa, con il rozzo compiacimento dei bruti. Ma lui, almeno per quest’anno, non deve saperlo.

Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 13 gennaio 2018 -

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