Secondo Ernest
Hemingway, uno
scrittore che lavora a un romanzo deve posare la penna a fine giornata solo
quando sa cosa scriverà dopo. La visione del futuro è fondamentale per
procedere nel presente. Vale per gli autori che sperimentano l’ebrezza
dell’onnipotenza nel raccontare una storia e i suoi personaggi, ma vale anche
per tutti noi che, pur privi di superpoteri, abbiamo il problema, che è anche
un privilegio, di procedere e di progettare il domani pur non potendo
scriverlo. Per questo, dovremmo impedire al 2018 di cominciare prima di avere
fatto piani. Non c’era niente di peggio che lasciare che il tempo passi invano,
niente di più triste che non avere sogni, niente di più autodistruttivo che
lasciarsi vivere, Per questo dobbiamo sapere cosa vogliamo dal nuovo anno prima
di archiviare il precedente. E per questo la redazione dell’elenco dei buoni
propositi è una pratica necessaria, virtuosa e obbligatoria. E poiché per
pensare in grande bisogna partire dal piccolo, comincerò da un proponimento
banale e realizzabile, ma così luminoso da accecarmi. Per primi 11 mesi del
2017 non ho messo piede in un cinema, anche se un tempo ci andavo più volte la
settimana e non riuscivo a immaginare la mia vita lontana da un grande schermo.
Poi, per un improvviso attacco di nostalgia, a dicembre ci sono andata tre
volte in tre giorni. E sono stata felice perché i film, come i libri, dilatano
orizzonti e pensieri. La mente è una piantina che va bagnata e accudita. Se
trascurata avvizzisce, se malnutrita si fa brutta e cattiva, se lasciata sola
diventa egocentrica e fastidiosa. Voglio riempire il mio annaffiatoio di film,
parole scritte e dette, conversazioni dense e futili, musica (persino quella
aliena e discutibile che mi consiglia l’adolescente di casa), scoperte,
bellezza e anche qualche tavoletta di cioccolata che non guasta mai. Voglio
rincorrere una me stessa migliore senza paura dello scorrere del tempo, che
certo regala anni, rughe, qualche acciacco e la pelle secca, ma anche
consapevolezza, gratitudine, una saggezza ironica e disincantata, un maggior
equilibrio e la misteriosa forma magica della nostra personale felicità. Nel
2018 vorrei buttare in un cassonetto il mio Super Io ipercritico e imbronciato.
Vorrei avere la pazienza di ascoltare, di accettare, di accogliere, di
sorvolare. Ma anche il coraggio di negarmi, di proteggermi, di alzare la voce.
Vorrei riuscire a smettere di pensare che l’altro è sempre migliore di me.
Vorrei piantarla di chiedere scusa anche quando ho ragione. Perché non sempre
il quieto vivere ci rende giustizia. Vorrei essere una madre lieve ma solida.
Vorrei dare l’esempio ma non la direzione, essere un modello ma non un limite.
Con i figli correi continuare a ridere e a giocare e a chiacchierare e a
divertirmi, lasciando le porte aperte e una libreria e un frigo pieni. Vorrei
dare un porto dove tornare e mostrare confini fa superare. Vorrei stare loro
simpatica. E che non mi odiassero quando li sgriderò selvaggiamente. Vorrei una
stanza tutta per me, in cui invitare mio marito, a festeggiare quel mix
miracoloso e laborioso di un amore duraturo, che non va lasciato a infeltrire
come i maglioni. E poi vorrei continuare a mentire a mio figlio maggiore quando
mi chiede di ripassare con lui i verbi latini o le declinazioni in greco. Io,
ipocrita, gli rispondo: “Sì, dai! Che Bello! Speravo me lo domandassi”. Perché
a me la grammatica delle lingue morte ha sempre fatto orrore, e dei miei anni
del liceo ho fatto tabula rasa, con il rozzo compiacimento dei bruti. Ma lui,
almeno per quest’anno, non deve saperlo.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 13
gennaio 2018 -
Nessun commento:
Posta un commento