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giovedì 4 gennaio 2018

Lo Sapevate Che: Abbiamo scordato che la natura è matrigna...

In Questi Giorni mi trovo in un villaggio tra le colline. Qui crescono pini e cedri, e ho iniziato a riflettere su quanto sia bello il mondo e quanto gli esseri umani lo abbiano rovinato. Se solo ci fossero meno persone…Il sesto giorno ho deciso di inoltrami in una foresta che costeggia l’autostrada. In giro non c’era un’anima. Mi sentivo leggera e libera, e lasciavo le braccia dondolare lungo il corpo, fermandomi per accarezzare le cortecce ruvide degli alberi. Intanto, dialogavo con un amico immaginario: “Non hai paura di stare qui da sola?”. Gli ho risposto di no. Anzi, nella foresta mi sentivo al sicuro. E in ogni caso, tra una pantera e un gruppo di sconosciuti, non avrei saputo dire quale mi avrebbe spaventata di più. Il sentiero era scivoloso. Aveva piovuto e il terreno era coperto di aghi non si scorgeva più. Eppure ero tranquilla. Pensavo che prima o poi mi sarei imbattuta in una casetta, e avrei ritrovato la via del ritorno. Alla fine sono riuscita a intravedere nuovamente l’autostrada, ma il sentiero per raggiungerla era sconnesso e accidentato. Ho fatto due passi e sono quasi scivolata. Ho riacquistato l’equilibrio mancavano solo tre metri al ciglio della strada. Ancora due passi e sono caduta, slogandomi una caviglia. A quel punto ho iniziato a preoccuparmi seriamente. Ho preso il telefonino per contattare l’albergo anche se non avrei saputo esattamente cosa dire. Dove mi trovavo? Poi mi sono resa conto che non cera campo, e che quella che avevo davanti non era l’autostrada, bensì un’arteria secondaria che conduceva a qualche villaggio. Nessun autobus e nessuna auto sarebbero mai passati. C’era da stare allegra, rischiavo di rimanere lì tutta la notte, ed ero già stata messa in guardia: da quelle pari, con il buio, si aggiravano le pantere. In quel momento desideravo, più di qualsiasi altra cosa, di imbattermi in un essere umano. Chiunque. A dire il vero, avrei preferito un uomo: spesso hanno con sé un telefono o sono in auto. Fino ad allora non avevo mai visto donne al volante da quelle parti. Ho iniziato a riflettere: tante persone rendono possibile la mia sopravvivenza. Diecimila anni di progresso ci hanno intorpiditi, facendoci dimenticare le insidie di Madre Natura: le colline che si coprono di ghiaccio, gli oceani, le alluvioni, le creature che hanno denti, artigli e tanta fame. Ciò che ci tiene in vita sono le menti degli umani. La lana che tessiamo, il carbone che estraiamo, le auto che fabbrichiamo, gli ospedali che ci rimettono in sesto. È tutta opera di uomini e donne. Soprattutto degli uomini. Me ne stavo seduta lì, riflettendo sulla sofferenza che ci travolge al punto da farci dimenticare che, se esistiamo è grazie al prossimo, e non a dispetto del prossimo, Il mio risentimento per l’umanità ha iniziato a dissolversi, e mi sono messa a pregare che qualcuno passasse. È arrivata una jeep. Ho fatto cenno al conducente, che era solo, senza passeggeri. Gli ho spiegato la situazione, e gli ho chiesto di dirmi dove ci trovavamo. Lui sembrava esitante: ero una brava o una cattiva persona? Forse provava diffidenza di fronte a una sconosciuta, a una donna sola? Pensava fossi un miraggio? Una strega? Alla fine ha fatto cenno di sì col capo, e mi ha portato in albergo. Gli ho offerto del denaro, che ha rifiutato. Alle mie insistenze, ha detto: “Non c’è problema. Stavo andando in questa direzione comunque”. Ho unito le mani in gesto di ringraziamento, ma il dolore che provavo mi ha fatto dimenticare di chiedergli il nome. Ora mi piacerebbe conoscerlo. Gli sono riconoscente, e non solo per avermi riportata al sicuro, ma per aver eliminato dal mio cuore la spina velenosa della diffidenza. E per avere fatto ciò su cui il mondo si basa: essersi comportato umanamente con un altro essere umano. (Traduzione di Marzia Porta)

Annie Zaidi – Opinioni – Donna di La Repubblica -16 dicembre 2017 -

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