Una volta le lotte sociali si facevano
per il welfare. Oggi la posta in gioco è il webfare. Cioè l’uguaglianza dei
cittadini nell’accesso e nell’uso di internet. Come dire che se voglio andare
su You Tube, o sul sito dell’Inps, di un Comune, di un ospedale o di una
compagnia aerea, nessuno può dirmi che devo aspettare perché ha la precedenza
chi ha pagato di più. Insomma la velocitò di navigazione deve
essere uguale per tutti. Così è stato finora. Ma adesso le cose potrebbero cambiare in peggio.
Perché a dare la prima spallata a questo principio che si chiama Neutralità
della Rete, è stato Donald Trump che punta a un sistema on demand sul modello
della tv a pagamento. E a dicembre la Commissione federale delle Comunicazioni
Usa ha, di fatto, aperto la via alla liberalizzazione dell’infrastruttura
digitale. L’Europa resiste allo tsunami neoliberista, almeno per il momento. Ma
questo precedente è pericoloso, perché i provider non vedono l’ora di spremere agli
utenti quanti più quattrini possibile. Per questo la Dichiarazione dei diritti di Internet, redatta nel 2015 da una
commissione di studio della Camera sotto la direzione del compianto Stefano
Rodotà, aveva stabilito che un accesso neutrale al web “nella interezza” è
condizione necessaria dei diritti fondamentali della persona. Perché oggi passa
tutto di lì, dall’informazione alla formazione. Dai servizi
all’intrattenimento. Ormai la rete digitale è un’infrastruttura vitale quanto
quella idrica, stradale energetica. E metterla solo a mercato significa di
fatto cancellare dei presupposti fondamentali su cui si reggono le nostre
democrazie. Come l’istruzione e la sanità pubbliche. Ecco perché la Neutralità
della Rete non è una palla al piede dell’economia, ma una visione dell’uomo e
della società. Un contratto sociale 2.0.
Marino Niola – Miti D’Oggi – Il venerdì di La Repubblica – 12
gennaio 2018 -
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