Chiuso
E Annoiato nel suo ufficetto di impiegatuccio statale a San Pietroburgo, costretto a
studiare Legge dal padre, un giovane genio russo della musica, malinconico e
irrequieto per natura, concepì un diabolico disegno che avrebbe superato i
confini dell’allora impero zarista, scavalcando le steppe, attraversato gli
oceani e colpito generazioni di genitori e di nonni, come me, nei giorni delle
feste comandate e dei saggi di fine anno. Si chiamava Pëtr Il'ič Čajkovskij – Ciaikovski per non metterla
giù tanto dura – e dalla sua penna sgorgarono la musica, il balletto, le opere
che, 125 anni dopo la prima rappresentazione a San Pietroburgo, avrebbero
invaso le feste invernali di milioni di bambini e parenti, inchiodati per la
inevitabile rappresentazione della sua opera più popolare, Lo Schiaccianoci. Il balletto fu portato per la prima volta in Usa
nel 1940; e in nessun’altra nazione si è così radicato nella tradizione, che lo
vuole rappresentato in ogni scuola nei giorni di fine anno. Come cagnolini
pavloviani al suono che segnala l’arrivo della pappa, noi parenti di bambini e
bambine vestiti da topolini, da soldatini di pan di zenzero, da principini e da
fatine di zucchero, scattiamo al richiamo del “plin-plon-Plin”, delle note
argentine della celesta (sorta di piccolo piano verticale con risonanza
metallica, strumento che il compositore scoprì a Parigi) nella Danza della fata. Affolliamo teatrini,
aule magne, auditorium per commuoverci, trepidare, cogliere i pochi secondi di
apparizione del nostro gioiellino e scattare o filmare con telefonini da mille
dollari, nella tenerissima confusione coreografica di bambini e bambine che
inciampano nei costumi, salutano la mamma riconosciuta in prima fila, dov'è seduta da ore per non perdere il posto. I saggi di fine anno sono il prezzo che
l’amore paga alla noia. Signore per bene si trasformano, nella trance materna e
nonnesca, in rugbiste da mischia aperta, sfondando la linea di altre signore
per conquistare un migliore posto di ripresa. Maschi geneticamente più alti
riprendono con le braccia alzate, bloccando la vista di chi è seduto nelle file
posteriori. Della musica, della coreografia, importa meno che del capitombolo
della piccola Susan o dei primi, esitanti tentativi di pas de deux della
nipotina più grande, quella che ancora non si è stancata delle lezioni di
balletto o non ha ancora trovato il foruncoloso teenager che la strapperà al
tutù e alle scarpette. Uno studio ha cercato di spiegare la presa ferrea dello
Schiaccianoci sugli americani di classe media e prevalentemente di carnagione
bianca; calcolando che in dicembre il balletto venga messo in scena circa
14mila volte. Senza arrivare a queste cifre, con quattro nipotine sono
modestamente arrivato a 16 versioni diverse (ora che le feste sono passate),
con una netta preferenza per le edizioni riservate alle più piccole. Il povero
Ciaikovski non ha colpe se le note della celesta tintinnano dagli schermi
televisivi per accompagnare spot su automobili, dolciumi, ferramenta, trapani
cordless, abbigliamento, telefonini nell’incessante “plin-plon-plin” che Disney
introdusse nella colonna musicale del suo Fantasia,
scolpendolo definitivamente nella immaginazione dicembrina collettiva. Dando a
genitori e nonni e zii l’illusione della perfetta, rassicurante immutabilità
della tradizione. E la certezza che la nostra bambina sia la più bella di
tutte. Grazie, signor Ciaikovski.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna
di La Repubblica – 13 gennaio 2018 -
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