L’arte dei pizzaiuoli napoletani
(rigorosamente con la U) è diventata Patrimonio Unesco dell’umanità il 7
dicembre. Adesso che i clamori e l’euforia dei primi giorni si sono calmati, cominciano
ad emergere le cifre, davvero imponenti, del business prodotto da questo
comfort food globale. Sessanta miliardi distribuiti nei cinque continenti. Con
record di consumi negli States, dove ogni americano mangia tredici chili di
pizza l'anno. E forse questa bulimia pizzesca spiega perché il popolo a stelle
e strisce crede fermamente di averla inventata. A seguire ci siamo noi italiani
con 7,6 chili pro capite. E i francesi che, nonostante il loro proverbiale
sciovinismo, gastronomico e non solo, sono al terzo posto con un ragguardevole
4,3. E poi c’è il dato sorprendente dei giapponesi, che ne hanno fatto uno dei
loro piatti di Natale, per celebrare la festa dei doni, importata
dall’Occidente. In fondo, sostengono serafici, i
colori della Margherita sono identici a quelli di Babbo Natale! Anche i nipponici si erano bevuti la
favola della pizza made in Usa. Ma d’ora in poi nessuno potrà più millantare di
averla inventata. Perché grazie all’Unesco e al nostro Ministero delle
politiche agro-alimentari, è stato riconosciuto ai pizzaiuoli napoletani di
aver dato i natali al disco fumante. Che non è altro se non la versione
commestibile dell’arte di arrangiarsi. Un piatto popolarissimo che in poco più
di due secoli è diventato un mito planetario. Economico, democratico,
sostenibile. Bontà spaziale per uno street food globale. Un’icona del made in
Italy. Non a caso Oliviero Toscani lo ha definito il più bell’oggetto di design
della storia. Insomma ai jeans. Con la differenza che dei jeans si può fare a
meno.
Marino Niola – Miti D’Oggi – Il Venerdì di La Repubblica – 22
dicembre 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento