“Tutto È Cominciato perché facevo il ristoratore
nell’Upper East Side di New York, volevo le mucche di razza chianina e andai a
comprarle in Texas. Un po' tardi mi accorsi che alle mucche serviva una stalla.
E io abitavo a Manhattan”. Lo chef Cesare Casella comincia così, un umorismo
surreale tinge il suo racconto, con la parlata che mescola l’accento toscano
(lucchese) e una cadenza americana acquisita in vent’anni di vita qui. Piano
piano scopri una storia sorprendente, molto seria e molto bella. Grande cuoco
di successo, dopo avere collezionato ristoranti di prestigio a Manhattan,
grazie a quelle mucche chianine esplora la zona Upstate New York, boschi e
colline lungo le valli del fiume Hudson che proseguono molto a Nord, fino ai
confini del Canada. Lì incrocia dei filantropi che assistono bambini e adulti
affetti da invalidità gravi, fisiche e psichiche. Nasce un complesso di
fattorie che usano l’amore per la terra, la riscoperta dell’agricoltura
biologica e il lavoro manuale per migliorare la vita di quei malati,
accoglierli, dare loro un alloggio e un lavoro. Il centro diventa un polo di
attrazione per centinaia di bambini e adolescenti affetti, per esempio, da
forme estreme di autismo. Coltivare bene per mangiar bene: lo chef Casella, con
la sua antica sapienza toscana, combatte l’alimentazione tossica a cui sono
esposti gli americani, e di cui soffrono in modo particolare i più deboli (tra
i disabili è ancora più alta la percentuale di obesi). Quando all’estero
parliamo di eccellente italiane pensiamo all’arte e al patrimonio archeologico,
alla gastronomia, alla moda e al design. Non viene subito in mente il
volontariato. Eppure abbiamo una tradizione importante in questo campo.
Frugando nei ricordi e nelle letture d’infanzia ritrovo Italo Calvino che,
nella Giornata di uno scrutatore,
penetra una realtà antica come il Cottolengo di Torino, o gli angeli del fango
che da tutta Italia accorrono per salvare Firenze dopo l’alluvione del 1988.
Pochi americani lo sanno, ma è grazie al volontariato del Fondo ambientale
italiano che vengono recuperati e aperti al pubblico alcuni gioielli della
nostra architettura. È un’eccellenza che esportiamo anche qui a New York, dove
pure non mancano le tradizioni nella filantropia. Perciò ha avuto una bella
idea il console Francesco Genuardi a invitare alcuni esponenti del volontariato
italiano in America per parlare delle loro esperienze. È stata una serata
speciale. Con una scelta intelligente il consolato l’ha inserita al culmine di
una serie d’incontri dal titolo Meet The
New Italians of New York, dedicati ai talenti che si sono affermati qui.
Dopo altre eccellenze dalla scienza alla tecnologia, dall’arte
all’imprenditorialità, era giusto collocare il volontariato in questa posizione.
Non c’è spazio per il dilettantismo in questa attitudine, la sua gratuità non
deve svalutare la professionalità, esperienza, competenza e talento profusi al
servizio degli altri. Un posto speciale nella serata newyorchese l’ha avuto la
Comunità di Sant’Egidio, che è stata creata qui da Andrea e Paola Bartoli. È
una storia cominciata trent’anni fa, quando Sant’Egidio negoziava la pace del
Mozambico e voleva dei contatti al Palazzo di Vetro, la sede delle Nazioni
Unite a New York. Quella parte del loro lavoro continua: ora cercano di mediare
fra una dozzina di fazioni armate per costruire la pace nel Centroafrica. Nel
frattempo Andrea e Paola si sono trasferiti qui e hanno organizzato la Comodità
nella sua vocazione classica. Si occupano di assistenza agli homeless, tra
l’altro con distribuzioni di pasti caldi nelle stazioni ferroviarie di Grand
Central e Penn Station. In una New York dove il problema dei senzatetto
peggiora, loro li aiutano da vicino, uno alla volta, con tanti volontari:
italiani e locali.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 13
gennaio 2018 -
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