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mercoledì 31 gennaio 2018

Lo Sapevate Che: E tu, di cosa hai bisogno?...

I Chiedono Interviste pensando di fare domande armati di bloc-notes, registratori, in territorio neutro, protetti dal ruolo. Ma se si chiede un’intervista a Tino Sehgal la prima risposta è: no, “perché lui non dà interviste”. La seconda è: forse, “il signor Sehgal potrebbe fare due chiacchiere con lei se è disposta a entrare nel progetto assistendo a un’audizione”. Perché no? Sehgal è più che un performer, più che un artista, Un coreografo, si potrebbe dire, capace di mettere in scena emozioni con cui travolgere gli astanti. Non c’è pubblico. Non ci sono attori. Dall’una e dall’altra parte ci sono persone che coinvolgono altre persone. Ci sono suoni, gesti, voci corpi che si muovono secondo regole invisibili. Così fu al Guggenheim di New York, lungo la rampa di Frank Lloyd Weight, dove un bambino ti prendeva per mano chiedendo “cos’è il progresso? “e poi ti lasciava a un ragazzo che faceva altre domande, e dal ragazzo all’adulto e dall’adulto al vecchio, tra interrogativi, risposte e racconti in un viaggio nel tempo che rotolava via, crescendo insieme alla spirale. Così fu nella Tate invasa da 70 story-teller che incantavano ogni visitatore, con le loro novelle, come tanti pifferai di Hamelin. Così alla Documenta di Kassel del 2013 dove, nella Casa degli Ugonotti resa buia come la pece, una minacciosa ventina di performer circondava chiunque entrasse cantando, battendo le mani, suonando gospel, vicino sempre più vicino… Non c’è territorio neutro accanto a questo uomo complesso come la sua origine, che lo vede nascere nel 1976 a Londra da padre angloindiano e madre tedesca, crescere a Düsseldorf, e studiare, tra Berlino e Parigi, economia, arte concettuale, danza. Non c’è ruolo che ci protegga. Tant’è che, all’improvviso, invece di far domande, si comincia a riceverle, seduti in cerchio con una decina di sconosciuti d’ogni età e provenienza a raccontare cose di so, come in una riunione di alcolisti anonimi. È andata così a Torino, nell’immenso, affascinante vuoto delle OGR, dove tra poco, sul binario 1 del monumento di archeologia industriale nato per riparare locomotive di treni, Sehgal metterà in scena la sua più importante personale italiana (2 febbraio – 18 marzo, a cura di Luca Cerizza). Stesso luogo dove lo scorso novembre, come da comunicato, “reclutava volontari vivaci, ironici, aperti e sensibili, di tutte le età, pronti a conversare di poesia, politica e vita quotidiana. Non è richiesta alcuna specifica qualifica professionale, né alcuna esperienza in ambito artistico e teatrale. È necessario però essere disposto a mettersi in gioco. Chi scrive in realtà non l’aveva scelto di mettersi in gioco. Eppure eccoci lì a rispondere a eccentrici quesiti: “cosa tifa davvero sentire bene?”. “ Racconta di una volta in cui hai capito di essere davvero arrivato”. “Cosa ti rende insoddisfatto di te stesso?”. Il gruppo, rispondendo, prende forma. Gli uomini parlano di azioni, le donne di sentimenti. I giovani di insicurezze, i più vecchi di nostalgie. A condurre la danza è la producer dell’artista, signora gentile dai lunghi capelli. Con la voce pacata con cui pone bizzarre domande, specifica le regole: “L’evento”, dice, “durerà 6 settimane. Sarà diviso in turni dalle 4 alle 7 ore alla settimana e verrà retribuito su base oraria”. Poi, con la stessa ferma gentilezza, invita tutti a spostarsi e a disegnare mentalmente un triangolo scegliendo due persone che non sanno di essere scelte e che a loro volta ne hanno scelto altre due. Fatto questo, bisogna muoversi rapidi. Un’improvvisa coreografia disegna lo spazio, ognuno rincorre i vertici di una figura geometrica che è solo nella testa ma fa muovere veloci le gambe e lega fisicamente e mentalmente l’intero gruppo. Energia, la chiama lui. Che va oltre l’arte. “È la differenza che c’è fra un paesaggio e il tempo atmosferico”, spiega poi, conversando su un divanetto. “Il paesaggio è l’opera fissa nel tempo, ma a formarlo e trasformarlo c’è l’atmosfera: un tessuto di luce, vento, pioggia, sole, mutazione continua. E io cerco questo”. Il vento di uno sciame in movimento soffierà nelle aule delle ex Officine di Porta Susa: 50 interpreti sopravvissuti alle audizioni sono pronto. Riporteranno in scena famosi lavori di Sehgal come Kiss, dove prendono vita celebri luci della storia dell’arte, da Rodin a Hayez. E si scateneranno nelle opere recenti (These Association), dove dominano l’impatto fisico ed emotivo, le interazioni. Nulla di già visto, nulla di nuovo. “Lavoro con elementi che si ripropongono e si ricompongono. Non mi chiedo se quello che sto facendo è nuovo, ma se è giusto per quello spazio, per le persone che arriveranno. Cerco di formare sculture con un elemento complesso, sensibile e flessibile quale è la natura umana. E’ come in cucina, non è la novità del piatto ma la sua qualità, quello che conta. Per questo mi chiedo: di cosa ha bisogno chi arriverà qui un mercoledì pomeriggio, dopo il lavoro, o un sabato mattina nel suo giorno di vacanza? Quale energia trasmettere? Voglio creare la giusta esperienza per farvi riflettere sula vita, lo spazio che vi circonda, su che cosa significhi muoversi, parlare, cantare”. Giusto il tempo di una performance, per farci diventare scultura viva di corpi ed emozioni. Capace di travolgere ruoli, inibizioni, professioni, bloc-notes, registratori, interviste….

Alessandra Mammì – Incontri D’Arte – Donna di La Repubblica – 20 gennaio 2018 -

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