Se vince la paura si
rinnega la storia
Il referendum svizzero
contro la circolazione degli stranieri è ispirato da timore che sono frutto
della disinformazione.
Decidere su queste basi
fa violenza agli stessi cittadini che l’hanno votato.
Come è accaduto da noi
la Bossi-Fini
Cosa accade quando vince la paura? Cosa accade quando una
nazione dimentica la sua storia? Può accadere che contro le stesse intenzioni
del Governo, della maggioranza del
Parlamento, delle associazioni, delle imprese e dei sindacati, si voti un
referendum che introduca limitazioni alla libera circolazione di cittadini
stranieri in un determinato paese. In questo caso, sul suolo svizzero.
Occorreva la maggioranza dei cantoni e dei cittadini, e sono arrivate entrambe,
anche se si è dovuto aspettare fino all’ultimo momento perché il referendum
l’hanno vinto i sì con uno scarto minimo, con il 50,3 per cento delle
preferenze contro il 49,7 per cento dei no.
Bruxelles Ritiene che questa decisione sia un
pericoloso precedente per la libera circolazione dei cittadini europei, ovvero
un pericoloso precedente per uno dei capisaldi su cui si fonda l’esistenza
stessa dell’Unione europea. Perché pur non facendo parte dell’Unione, la
Svizzera ha un ruolo centrale in Europa, non fosse altro che per la sua
posizione strategica. Eppure, senza averne la, necessaria consapevolezza, i
cittadini svizzeri che hanno votato sì, rischiano di fare un danno incredibile
al loro stesso Paese che, nonostante la crisi profonda degli Stati confinanti,
ha comunque mantenuto la disoccupazione sotto una soglia accettabile e ha
continuato ad avere un’economia in crescita, seppur minima, ma in crescita. E
tutto questo è stato possibile grazie alla capacità che la svizzera ha
continuato ad avere negli anni di attrarre investitori, di attrarre lavoratori
specializzati da ogni parte del mondo. Ma se è vero che in Svizzera vivono e
lavorano almeno un milione di cittadini europei, sono quasi cinquecentomila gli
svizzeri che hanno lasciato il proprio Paese per andare a vivere e lavorare
altrove. Cosa accadrebbe a queste persone se la chiusura fosse a doppio senso?
Ciò che deve essere chiaro è che questo referendum, come ogni
manovra politica che tenda alla chiusura di un’entità politica ed economica,
rischia di fare più danni dei problemi che potenzialmente si voleva risolvere a
livello occupazionale. E se in Svizzera l’istituto referendario è un mezzo
preziosissimo che consente ai cittadini di partecipare attivamente alle
decisioni politiche del loro paese, può anche diventare un’arma pericolosa –
come risulta evidente in questa specifica circostanza – che rischia di dare
immediata attuazione a timori che di fondato hanno poco. Di timori frutto e
conseguenza di disinformazione.
Se non c’è lavoro, non ha alcun senso pensare che la
soluzione possa essere chiudere le frontiere o cacciare gli stranieri. In
Italia l’esperienza fallimentare della Lega Nord e i danni che ha prodotto la
Bossi-Fini sono un esempio clamoroso di come prendere decisioni sulla scorta di
paure contingenti e dimenticando la propria storia di immigrati, nel caso della
Svizzera, equivalga a far violenza a se stessi. Una violenza che nel tempo si
paga. In tutto questo non mancano delle contraddizioni che a raccontarle ci si
sente feriti. In Svizzera gli immigrati italiani sono i più numerosi e non è un
caso, forse, se nel Canton Ticino, ovvero nella Svizzera di lingua italiana, la
percentuale dei sì sia stata più alta che nel resto del paese. Vicina al 68 per
cento. Le restrizioni infatti riguardano anche i frontalieri.
E’ Così, Dunque, che la Svizzera risponde alla
crisi, sacrificando una parte fondamentale dei propri diritti, illudendosi si
difendere in questo modo i privilegi. Eppure così ha solo rinnegato la sua
storia, una storia di accoglienza durata secoli. In Svizzera si sono rifugiati
matematici e filosofi, scrittori e artisti di ogni orientamento politico e di
ogni religione. La Svizzera ha accolto chiunque fuggisse da dittature e
persecuzioni e ora addirittura il diritto d’asilo viene messo in discussione e
sarà sottoposto a restrizioni. La Svizzera ha fatto della sua neutralità, della
sua apertura mentale e della trasparenza delle sue frontiere una forza
incredibile. Ha salvato più vite questa attitudine all’accoglienza che migliaia
di soldati armati fino ai denti. Rinunciare all’accoglienza, per la Svizzera,
significa rinunciare alla propria storia.
Roberto Saviano – L’Espresso – 27 febbraio 2014
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