Il miracolo dell’Oscar
nel Paese senza un soldo
Per cinema e cultura
La vittoria della
Grande Bellezza agli Oscar, al netto delle critiche invidiose
O della retorica
patriottarda – due facce della stessa ipocrisia – potrebbe ancora servire a discutere
sul tema dell’industria culturale
Italia. Il nostro
è un grande Paese di cultura, non soltanto per i monumenti o
i musei ereditati da un passato glorioso del quale non abbiamo alcun merito, ma
anche per la capacità di produrre, qui e oggi, straordinarie intelligenze che
traducono il nostro stile di vita in merce ammirata e ricercata dal resto del
mondo.
Non parlo di designer e stilisti, che pure hanno la loro
importanza. Tre quarti delle star sfilate sul tappeto rosso di Hollywood erano
vestite o “accessoriate” da Giorgio Armani o Dolce & Gabbana. Prada e
Valentino, Gucci e Bulgari. Parlo invece delle centinaia e migliaia di
architetti, grandi e piccoli, cineasti, musicisti, e soprattutto dei milioni di
lavoratori che stanno dietro a questi talenti. La sola industria dello
spettacolo in Italia occupa quasi 300 mila addetti, ormai molti di più
dell’industria automobilistica, ma a differenza di quella dell’auto potrebbe
tranquillamente raddoppiare il numero dei posti di lavoro se i governi da vent’anni
non tagliassero sistematicamente gli investimenti nel settore.
Il film di Paolo Sorrentino è la prova che l’Italia sa ancora
fare grande cinema, ma non è un caso isolato. Negli ultimi anni si sono
guadagnati una solida fama e premi in giro per il mondo altri giovani registi,
come Garrone o Guadagnino, e altri eternamente giovani, come i fratelli
Taviani. Siamo il cinema straniero più premiato agli Oscar, davanti alla
Francia, e il secondo più premiato a Cannes, dietro gli Stati Uniti, com’è
ovvio. Un risultato che ha del miracoloso se si pensa a com’è stata condotta la
politica culturale in Italia e altrove. Da Los Angeles, dov’ero inviato dal
giornale, ho scritto del confronto fra quanto il piccolo Belgio aveva investito
nella promozione del proprio film candidato (due milioni) e quanto ha speso
l’Italia (120 mila euro). Ha vinto ugualmente Sorrentino, ma rimane la domanda
perché un Paese che spende milioni all’anno per mantenere i bagordi di
consiglieri semianalfabeti di questa o quella Regione, non trova mai i soldi da
investire nella cultura, con ben altri ritorni?
Per rilanciare l’industria del cinema e creare buoni posti di
lavoro per i giovani basterebbe copiare le leggi sullo spettacolo di altre
grandi nazioni europee, soprattutto la Francia. Basterebbe che i sindaci delle
nostre grandi città, Roma e Milano, Napoli e Torino, Firenze e Bologna,
impedissero che i sindaci delle nostre grandi città, Roma e Milano, Napoli e
Torino, Firenze e Bologna, impedissero che le sale cinematografiche dei centri
storci siano trasformate in pizzerie o in supermercati. Non è vero che “con la
cultura non si mangia”.
Curzio Maltese – Venerdì di Repubblica – 14 marzo 2014
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