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venerdì 14 marzo 2014

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Strapagateli, ma mandateli a casa

Per le mancate riconferme dei vertici delle grandi aziende pubbliche si dovrebbero spendere molti milioni, Ma forse vale la pena sborsarli. E per ricambio. E per spezzare le cordate di potere

I tempi di bilanci magri non si dovrebbero consigliare al governo nuovi e maggiori esborsi. Ma ci sono candele per le quali vale sicuramente il gioco di non badare alla spesa. Ed è questo il caso specifico dei sorprendenti oneri collegati al ricambio dei vertici delle principali aziende a partecipazione statale (come Eni, Enel e Terna e non solo). Nella sua bella inchiesta (“l’Espresso”n.9), Luca Piana ha scoperto che alcuni tra i boiardi delle imprese più importanti hanno avuto l’accortezza di inserire nei rispettivi contratti clausole non poco onerose nell’ipotesi di mancata riconferma nell’incarico. Attenzione: per i capi di Eni ed Enel non si tratta di quanto loro spettante come indennità di fine rapporto dirigenziale, ma di una sorta di paracadute d’oro supplementare sganciato dalla valutazione dei risultati gestionali- Di una cifra, insomma, il cui fine ultimo parrebbe solo quello di agire come deterrente al ricambio.
Il Costo Complessivo dell’eventuale ricambio supera i 17 milioni (molti di più considerando i vertici delle altre aziende in attesa di nomine) e ricadrebbe ovviamente sui loro bilanci: quindi l’onere per lo Stato (azionista parziale)  non dovrebbe superare una piccola manciata di milioni. Nulla in confronto al beneficio che si potrebbe ricavaredall’attuazione di un generale rinnovamento degli incarichi nel vasto mondo delle aziende partecipate o controllate dallo Stato. Anzi, proprio da un governo guidato da Matteo Renzi è lecito attendersi che paghi pure senza remore questo increscioso scotto contrattuale considerandolo come il miglio investimento che si possa fare in materia.
Certo, il numero delle poltrone che stanno per arrivare a scadenza nei prossimi due - tre mesi è davvero enorme: c’è chi ne ha censite addirittura quattrocento. Ma è del tutto evidente che i casi di grande rilievo sono quelli che riguardano le imprese di maggiori dimensioni, l’Eni, l’Enel, la Terna insieme a Finmeccanica e a Poste Spa, ormai prossima allo sbarco in Piazza Affari. Senza nulla togliere all’importanza delle altre centinaia di incarichi, infatti, è soprattutto in questo quintetto di aziende che si materializza il senso della presenza pubblica in economia e il ruolo dello Stato sul mercato.
Da Più Parti Giungono pressioni sul neopresidente del Consiglio affinché proceda senza indugi a un ricambio radicale in forza dell’argomento che questo sarebbe il primo e vero banco di prova della sua capacità di rinnovamento rispetto al malcostume clientelare della vecchia politica in tema di nomine pubbliche. Insomma, Renzi faccia pulizia delle resistenze boiardesche e la sua immagine ne trarrà grande giovamento. Condivido ma, riguardo alla necessità della nomina di nuovi amministratori, vorrei soggiungere considerazioni meno legate a vantaggi soggettivi.
Paolo Scaroni (Eni), Fulvio Conti (Enel), Flavio Cattaneo (Terna), per esempio, guidano le rispettive imprese da ben tre mandati triennali. In questi nove e lunghi anni è inevitabile che all’interno delle aziende si siano consolidate cordate manageriali al servizio del capo il cui apporto critico risulta inversamente proporzionale allo spirito di auto conversazione. Succede in tutto il mondo, private o pubbliche che siano le imprese, perché mai non dovrebbe essere accaduto nei casi di specie?
Non solo: in questo lungo lasso di tempo Eni ed Enel hanno sottoscritto grossi contratti di fornitura internazionali ovvero hanno acquisito rilevanti partecipazioni. Iniziative talora assai discutibili: tanto che Eni sta cercando di rinegoziare gli impegni più onerosi ed Enel sta ridisegnando il perimetro delle sue presenze estere. Ha poco senso che a gestire gli errori siano lasciati coloro che li hanno commessi. Renzi dia pure loro una lauta mancia, ma li tolga di mezzo. Il ricambio farà anche bene alla sua immagine politica, ma soprattutto conviene al Paese.
Massimo Riva – L’Espresso – 13 marzo 2014


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