Strapagateli, ma
mandateli a casa
Per le mancate
riconferme dei vertici delle grandi aziende pubbliche si dovrebbero spendere
molti milioni, Ma forse vale la pena sborsarli. E per ricambio. E per spezzare
le cordate di potere
I tempi di bilanci magri non si dovrebbero consigliare al
governo nuovi e maggiori esborsi. Ma ci sono candele per le quali vale
sicuramente il gioco di non badare alla spesa. Ed è questo il caso specifico
dei sorprendenti oneri collegati al ricambio dei vertici delle principali
aziende a partecipazione statale (come Eni, Enel e Terna e non solo). Nella sua
bella inchiesta (“l’Espresso”n.9), Luca Piana ha scoperto che alcuni tra i
boiardi delle imprese più importanti hanno avuto l’accortezza di inserire nei
rispettivi contratti clausole non poco onerose nell’ipotesi di mancata
riconferma nell’incarico. Attenzione: per i capi di Eni ed Enel non si tratta
di quanto loro spettante come indennità di fine rapporto dirigenziale, ma di
una sorta di paracadute d’oro supplementare sganciato dalla valutazione dei
risultati gestionali- Di una cifra, insomma, il cui fine ultimo parrebbe solo
quello di agire come deterrente al ricambio.
Il Costo Complessivo dell’eventuale ricambio supera i 17
milioni (molti di più considerando i vertici delle altre aziende in attesa di
nomine) e ricadrebbe ovviamente sui loro bilanci: quindi l’onere per lo Stato
(azionista parziale) non dovrebbe
superare una piccola manciata di milioni. Nulla in confronto al beneficio che
si potrebbe ricavaredall’attuazione di un generale rinnovamento degli incarichi
nel vasto mondo delle aziende partecipate o controllate dallo Stato. Anzi,
proprio da un governo guidato da Matteo Renzi è lecito attendersi che paghi
pure senza remore questo increscioso scotto contrattuale considerandolo come il
miglio investimento che si possa fare in materia.
Certo, il numero delle poltrone che stanno per arrivare a
scadenza nei prossimi due - tre mesi è davvero enorme: c’è chi ne ha censite
addirittura quattrocento. Ma è del tutto evidente che i casi di grande rilievo
sono quelli che riguardano le imprese di maggiori dimensioni, l’Eni, l’Enel, la
Terna insieme a Finmeccanica e a Poste Spa, ormai prossima allo sbarco in
Piazza Affari. Senza nulla togliere all’importanza delle altre centinaia di
incarichi, infatti, è soprattutto in questo quintetto di aziende che si
materializza il senso della presenza pubblica in economia e il ruolo dello
Stato sul mercato.
Da Più Parti Giungono pressioni sul neopresidente del
Consiglio affinché proceda senza indugi a un ricambio radicale in forza
dell’argomento che questo sarebbe il primo e vero banco di prova della sua
capacità di rinnovamento rispetto al malcostume clientelare della vecchia
politica in tema di nomine pubbliche. Insomma, Renzi faccia pulizia delle
resistenze boiardesche e la sua immagine ne trarrà grande giovamento. Condivido
ma, riguardo alla necessità della nomina di nuovi amministratori, vorrei
soggiungere considerazioni meno legate a vantaggi soggettivi.
Paolo Scaroni (Eni), Fulvio Conti (Enel), Flavio Cattaneo
(Terna), per esempio, guidano le rispettive imprese da ben tre mandati
triennali. In questi nove e lunghi anni è inevitabile che all’interno delle
aziende si siano consolidate cordate manageriali al servizio del capo il cui
apporto critico risulta inversamente proporzionale allo spirito di auto
conversazione. Succede in tutto il mondo, private o pubbliche che siano le
imprese, perché mai non dovrebbe essere accaduto nei casi di specie?
Non solo: in questo lungo lasso di tempo Eni ed Enel hanno
sottoscritto grossi contratti di fornitura internazionali ovvero hanno
acquisito rilevanti partecipazioni. Iniziative talora assai discutibili: tanto
che Eni sta cercando di rinegoziare gli impegni più onerosi ed Enel sta
ridisegnando il perimetro delle sue presenze estere. Ha poco senso che a
gestire gli errori siano lasciati coloro che li hanno commessi. Renzi dia pure
loro una lauta mancia, ma li tolga di mezzo. Il ricambio farà anche bene alla
sua immagine politica, ma soprattutto conviene al Paese.
Massimo Riva – L’Espresso – 13 marzo 2014
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