Come ti fermo il
deputato mobile
Dall’inizio della
legislatura hanno cambiato casacca 135 parlamentari.
Al Senato e alla Camera
ogni giorno nascono nuovi gruppi.
Due proposte per
mettere un argine al trasformismo e tornare al rispetto degli elettori.
Quest’anno le Idi di marzo sono giunte in anticipo, come la
primavera. All’inizio del mese il Movimento 5 Stelle si è sbarazzato di altri 5
senatori; stavolta non con i pugnali che ferirono a morte Giulio Cesare, bensì
con una scomunica sul blog di Beppe Grillo. Sta di fatto che nella pattuglia
grillina del Senato, dall’invio della legislatura, gli espulsi sono ormai 13 su
54. Ma c’è anche chi s’espelle da solo, ottenendo in cambio un bouquet di rose,
anziché una pugnalata. E’ il caso di Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano:
in un anno è passato dal Pdl di Berlusconi a Scelta civica di Monti, da Scelta
civica ai Popolari di Mauro, dai Popolari al Nuovo Centrodestra di Alfano.
Sempre accolto come un figliol prodigo dai suoi tanti papà.
Sicché va in scena la Grande Transumanza: in 11 mesi hanno
cambiato gruppo 135 parlamentari (70 a Palazzo Madama, dunque un quarto
rispetto alla composizione del Senato). Altri sono rimasti fedeli al proprio
partito, ma non al proprio generale; ne sa qualcosa Bersani, il cui esercito si
è trasformato in un manipolo di sopravvissuti.
Nel frattempo i due governi della XVII
legislatura- prima Letta, poi Renzi – si reggono sui transfughi, ovvero sulla
diaspora del Pdl. Grande scissione fra Berlusconi e Alfano, ma la politica
sperimenta pure la scissione dell’atomo: Udc e Popolari, dopo la separazione da
Scelta civica, stanno per separarsi da se stessi. Risultato? Aumentano i gruppi
parlamentari, con due new entry sia al Senato che alla Camera. S’ingrassa il
gruppo misto, che a Montecitorio si divide in 4 componenti. Senza dire degli ex
grillini, anch’essi in procinto di formare un gruppo autonomo. E in conclusione
la geografia parlamentare è come quella dell’Europa durante le guerre
napoleoniche: muta ogni settimana.
C’è una vittima, però, di queste manovre militari:
l’elettore. Tu voti Scilipoti in odio a Berlusconi, te lo ritrovi abbracciato a
Berlusconi. Sicché ti rimbomba nelle orecchie il verso di Carducci:
“Trasformismo brutta parola a cosa più brutta. Trasformarsi Da sinistri a
destri senza però diventare destri e non però rimanendo sinistri”. Dice: ma c’è
l’art.67 della Costituzione, che protegge la libertà dei parlamentari. Anche la
libertà degli elettori, tuttavia, meriterebbe qualche protezione. Si può ottenere
correggendo i regolamenti delle Camere, attraverso due soluzioni alternative.
Primo, L’Intervento minimale. Niente deroghe per
costruire un gruppo autonomo, rispetto ai numeri prestabiliti (20 deputati o 10
senatori). In questa legislatura ne beneficia Fratelli d’Italia, che ha eletto
9 deputati; in passato è accaduto anche di peggio. Il 17 marzo 2006 l’Ufficio
di presidenza della Camera concesse 5 deroghe per altrettanti gruppi, compreso
quello capitanato da Rotondi, dove i commensali erano soltanto 6. Insomma,
maxideroghe per i microgruppi, basta che questi ultimi dimostrino di
rappresentare “un partito organizzato nel Paese”. No, il partito dev’essere
votato, non organizzato; anche perché altrimenti si disorganizza il Parlamento,
trasformandolo in un suq dove gli ambulanti vendono le merci più svariate, e
per lo più avariate.
Secondo, l’intervento massimale. Niente gruppi parlamentari
in corso di legislatura, anche se ne avessero i numeri. Non conta il
regolamento, conta il voto. E il voto scatta una fotografia degli elettori così
come degli eletti, ciascuno con la sua divisa, e senza il guardaroba di cui era
provvisto Fregoli. Poi, certo, nei cinque anni d’una legislatura la politica va
avanti, al pari della vita. Ma allora potremmo siglare un compromesso: ok ai
nuovi gruppi, purché siano d’accordo gli elettori, oltre che gli eletti. Come appurarlo? Con una consultazione online,
con un referendum, con un successo del neopartito alle regionali o alle
europee, con una petizione popolare. Insomma fate voi, ma non fate senza di
noi.
Michele Ainis – L’Espresso – 20 marzo 2014
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