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lunedì 17 marzo 2014

Lo sapevate Che: Senza Frontiere...


Solo l’Europa può salvare l’Ucraina

Ma la mediazione avrà successo se esprimerà una politica estera svincolata dagli interessi degli Stati Uniti

Fra qualche settimana la Crimea diventerà parte della Russia a seguito del referendum del 16 marzo, un po’ forzato e affrettato. Ma come si è giunti a questa successione? E la diplomazia può fare qualcosa per uscire dalla maggiore crisi in Europa di questi ultimi venti anni e più, una crisi anche più importante del conflitto russo-georgiano del 2008 per il predominio sull’Ossezia del Sud e l’Abkhazia?
La Secessione Della Crimea è il punto intermedio o finale (non sappiamo ancora) di una crisi che risale al 1991 quando, a seguito della disgregazione dell’Urss e della proclamazione di indipendenza, l’Ucraina diventa uno “Stato cuscinetto” tra Russia e Unione europea. Il disegno politico-economico di Putin, che ha continuato a tenere le frontiere aperte con l’Ucraina e ha doppiamente bisogno della relazione speciale con questo Paese per il suo mercato potenziale (con i suoi 45 milioni di abitanti è quello più popoloso dopo la Russia) e per il passaggio sul suo territorio del gasdotto naturale verso l’Italia, la Germania e altri paesi europei, fa di Kiev il suo partner necessario. La condizione, non secondaria, di una partnership è l’accordo di tutti e due i partner. Altrimenti è una relazione di dominio. Se, poi, uno dei due partner ha anche una doppia personalità (Ucraina filoeuropea e filorussa) è un bel rompicapo. In ogni caso, il progetto autoritario dell’ex-presidente Yanukovych è stato bloccato e sconfitto dalla coalizione composita che si è formata nelle settimane di mobilitazione della Maidan, la Piazza di Kiev, e che era iniziata proprio a seguito del rifiuto Yanukovych di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea a fine novembre, a Vilnius. La prima, immediata reazione di Putin, partner senza più punti di riferimento politici di cui fidarsi, è di occupare la Crimea, che non può perdere: a Sebastopoli c’è la base della flotta russa del Mar Nero. Referendum e secessione servono a creare delle apparenze.
Se Si Aggiunge che nella nuova situazione rimangono tutti gli interessi reciproci tra Unione europea e Russia, specie i fitti intrecci commerciali tra Russia e Paesi europei (ancora Italia e Germania in prima fila) e la necessità europea e della stessa Ucraina del gas naturale russo, sembrerebbe ovvio pensare che ci sia spazio per un’azione diplomatica. Ma è così? Dipende dagli scenari che si aprono. Visto come Putin si è comportato finora, si può subito escludere l’ipotesi di un’aperta invasione di altre province ucraine, pure a forte maggioranza russa, come quella di Donetsk, da cui veniva Yanukovych, o semplicemente confinanti con la Russia e con una più o meno forte minoranza russa, come quelle di Luhanzk o anche di Kharkiv, o Zaporizhia.
Gli Scenari Restanti Sono: 1) una radicalizzazione della crisi con disordine interno e frammentazione del Paese; 2) il ripetersi di una secessione forzata di altre regioni; 3) lo stabilizzarsi della situazione territoriale attuale, con un conflitto latente; 4) la stabilizzazione territoriale attuale con qualche primo passo negoziale. Solo il quarto scenario dà spazio alla diplomazia. A questo fine la buona base di partenza è una rara, oggettiva unità di interessi tra i Paesi europei coinvolti, che si può tradurre in un’occasione storica per l’Unione europea di esprimere una propria autonoma politica estera. Ma il passaggio di scenario va costruito con incontri-compromessi limitati agli interessi economici essenziali, europei e russi, e autonomizzandosi – per quanto possibile – da quelli americani, assai diversi, o da quelli rappresentati dalla Nato.
Insomma, ci vorrà un bel po’ di concretezza e fantasia da parte di tutti, ma la vera posta in gioco di questa crisi è ancora più alta: rendere compatibili nello stesso spazio geo-politico l’Unione europea con i suoi 28 Paesi e la Russia di oggi con i diversi Paesi sotto la sua (ferrea) influenza. E’ l’unica condizione per cui uno Stato cuscinetto diventi un po’ meno tale e possa essere a sua volta più autonomo.
Leonardo Morlino – L’Espresso – 20 marzo 2014


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