Solo l’Europa può
salvare l’Ucraina
Ma la mediazione avrà
successo se esprimerà una politica estera svincolata dagli interessi degli
Stati Uniti
Fra qualche settimana la Crimea diventerà parte della Russia
a seguito del referendum del 16 marzo, un po’ forzato e affrettato. Ma come si
è giunti a questa successione? E la diplomazia può fare qualcosa per uscire
dalla maggiore crisi in Europa di questi ultimi venti anni e più, una crisi
anche più importante del conflitto russo-georgiano del 2008 per il predominio
sull’Ossezia del Sud e l’Abkhazia?
La Secessione Della
Crimea è il punto
intermedio o finale (non sappiamo ancora) di una crisi che risale al 1991
quando, a seguito della disgregazione dell’Urss e della proclamazione di
indipendenza, l’Ucraina diventa uno “Stato cuscinetto” tra Russia e Unione
europea. Il disegno politico-economico di Putin, che ha continuato a tenere le
frontiere aperte con l’Ucraina e ha doppiamente bisogno della relazione
speciale con questo Paese per il suo mercato potenziale (con i suoi 45 milioni
di abitanti è quello più popoloso dopo la Russia) e per il passaggio sul suo
territorio del gasdotto naturale verso l’Italia, la Germania e altri paesi
europei, fa di Kiev il suo partner necessario. La condizione, non secondaria,
di una partnership è l’accordo di tutti e due i partner. Altrimenti è una
relazione di dominio. Se, poi, uno dei due partner ha anche una doppia
personalità (Ucraina filoeuropea e filorussa) è un bel rompicapo. In ogni caso,
il progetto autoritario dell’ex-presidente Yanukovych è stato bloccato e
sconfitto dalla coalizione composita che si è formata nelle settimane di
mobilitazione della Maidan, la Piazza di Kiev, e che era iniziata proprio a
seguito del rifiuto Yanukovych di firmare l’accordo di associazione con
l’Unione europea a fine novembre, a Vilnius. La prima, immediata reazione di
Putin, partner senza più punti di riferimento politici di cui fidarsi, è di
occupare la Crimea, che non può perdere: a Sebastopoli c’è la base della flotta
russa del Mar Nero. Referendum e secessione servono a creare delle apparenze.
Se Si Aggiunge che nella nuova situazione rimangono
tutti gli interessi reciproci tra Unione europea e Russia, specie i fitti
intrecci commerciali tra Russia e Paesi europei (ancora Italia e Germania in
prima fila) e la necessità europea e della stessa Ucraina del gas naturale
russo, sembrerebbe ovvio pensare che ci sia spazio per un’azione diplomatica.
Ma è così? Dipende dagli scenari che si aprono. Visto come Putin si è
comportato finora, si può subito escludere l’ipotesi di un’aperta invasione di
altre province ucraine, pure a forte maggioranza russa, come quella di Donetsk,
da cui veniva Yanukovych, o semplicemente confinanti con la Russia e con una
più o meno forte minoranza russa, come quelle di Luhanzk o anche di Kharkiv, o
Zaporizhia.
Gli Scenari Restanti
Sono: 1) una
radicalizzazione della crisi con disordine interno e frammentazione del Paese;
2) il ripetersi di una secessione forzata di altre regioni; 3) lo stabilizzarsi
della situazione territoriale attuale, con un conflitto latente; 4) la
stabilizzazione territoriale attuale con qualche primo passo negoziale. Solo il
quarto scenario dà spazio alla diplomazia. A questo fine la buona base di
partenza è una rara, oggettiva unità di interessi tra i Paesi europei
coinvolti, che si può tradurre in un’occasione storica per l’Unione europea di
esprimere una propria autonoma politica estera. Ma il passaggio di scenario va
costruito con incontri-compromessi limitati agli interessi economici
essenziali, europei e russi, e autonomizzandosi – per quanto possibile – da
quelli americani, assai diversi, o da quelli rappresentati dalla Nato.
Insomma, ci vorrà un bel po’ di concretezza e fantasia da
parte di tutti, ma la vera posta in gioco di questa crisi è ancora più alta:
rendere compatibili nello stesso spazio geo-politico l’Unione europea con i
suoi 28 Paesi e la Russia di oggi con i diversi Paesi sotto la sua (ferrea)
influenza. E’ l’unica condizione per cui uno Stato cuscinetto diventi un po’
meno tale e possa essere a sua volta più autonomo.
Leonardo Morlino – L’Espresso – 20 marzo 2014
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