Per Un’etica Del Lavoro
Quando Il Lavoro non C’E’
“Devi essere flessibile
Se vuoi trovare lavoro
Devi scendere a
compromessi.
Se vuoi mantenere il
tuo posto di lavoro, devi essere
disposto a tutto . In
una parola sol a(anzi due), devi accontentarti.”
Stipendio dimezzato o
vengo licenziato a qualunque età io sono già fuori mercato…
Io sono al verde, vado
in bianco ed il mio conto è in rosso quindi posso rimanere fedele alla mia
bandiera
Su, vai a vedere nella
galera quanti precari sono passati a malaffari
Quando t’affami ti fai
nemici vari, finisci nelle mani di strozzini, ti cibi di ciò che trovi se ti
ostini a frugare cestini…
Per far denaro ci sono
più modi, potrei darmi alle frodi
Io vado avanti e mi si
offusca la mente sto per impazzire come dentro un call center..
Né l’Uomo ragno, né
Rocky, né Rambo, né affini farebbero ciò che faccio per i miei bambini io sono
un eroe…
In una frase storica come quella presente, in cui persino il
più precario e sottopagato dei lavori rappresenta un’utopia per tanti giovani
in cerca di occupazione, misero oggetto del desiderio di una generazione che
ormai da tempo ha smesso di sperare nel mito del “posto fisso”, sono questi gli
imperativi che regolano il mercato del lavoro. Una storia di nuovo e spietato
decalogo che impone di essere competitivi, cinici, spregiudicati, pur di
rimanere a galla nel mare magnum di
lavori a progetto, co-co-co e prestazioni a nero che sempre più spesso
rappresentano la regola nelle biografie professionali delle generazioni; che
invita a mettere da parte ogni desiderio di autorealizzazione e ogni scrupolo
morale, pur di ritagliarsi un piccolo spazio di sopravvivenza in una società in
cui il lavoro scarseggia ed è ormai divenuto un lusso per pochi fortunati.
Di fronte ad una situazione di tal genere, in un mercato del
lavoro dominato dalla precarietà e dalla logica del più furbo, c’è ancora posto per un “etica del lavoro”? Per quei
lavori di correttezza, onestà professionale, rispetto per se stessi e per il
prossimo che dovrebbero essere alla base di ogni esperienza lavorativa vissuta
con responsabilità e dignità?
A prima vista tali valori potrebbero apparire perdenti,
superati, obsoleti. Quando si tratta di trovare una via d’uscita dal deserto
desolante della disoccupazione, non c’è spazio per gli scrupoli e le
esitazioni: il miraggio di una vita migliore (o anche solo di un modesto guadagno a fine mese) giustifica
qualsiasi compromesso, la rinuncia alle proprie aspirazioni più profonde, lo
svilimento di competenze e professionalità coltivate nel tempo, al prezzo di
tanto studio e sacrifici. E quando finalmente un lavoro lo si è trovato, per
quanto precario e privo di garanzie – anzi, forse, a maggior ragione – si è
disposti a tutto pur di conservarlo, difendendolo con le unghie e con i denti,
anche a costo di scendere a patti con la propria coscienza, di accettare
condizioni eticamente discutibili, di mettere in cattiva luce i colleghi,
vedendo in loro nient’altro che dei rivali da cui guardarsi e da tenere a bada.
E’ la guerra tra poveri, in cui ogni colpo è lecito e la
regola è “adattarsi per sopravvivere”.
Eppure proprio quando il gioco si fa duro e la competizione è
più agguerrita, la strategia vincente può risiedere nella capacità di andare
controcorrente, puntando sulla cooperazione, sul lavoro di squadra, sul
sostegno reciproco; una rinnovata etica del lavoro fondata non sul mito
dell’autoreferenzialità e dell’individualismo, bensì sulla collaborazione di
progetti condivisi, sulla consapevolezza della propria responsabilità verso se
stessi e verso gli altri, nell’ottica di un ben-essere
collettivo.
Alessandra Mastrodonato – Bollettino Salesiano – Marzo 2014
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