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giovedì 27 marzo 2014

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Coraggio, Renzi Ancora Un Passo

La scelta di tagliare le tasse ai redditi più bassi non sarà da sola sufficiente a far ripartire la crescita, ma almeno va nella direzione giusta. Mentre perfino il Fondo monetario ora scopre i danni provocati dall’austerità

Diventa  sempre più evidente come la forte disuguaglianza dei redditi agisca a detrimento della stabilità macroeconomica e della crescita. L’ennesima intemerata del Nobel Paul Krugman contro i cantori dell’austerità e dell’arricchimento selvaggio degli “happy few”? No – incredibile ma vero – parole così perentorie e taglienti non scritte in uno degli ultimi documenti del Fondo monetario internazionale. Già, proprio di quell’istituzione che finora è stata il presidio principale delle strategie economiche fondate sul rigido controllo dei redditi e dei consumi delle classi medie e povere nella totale noncuranza verso il fenomeno speculare della concentrazione delle ricchezze in un numero sempre più piccolo di persone o gruppi finanziari.
Presto Per Dedurre che simili giudizi siano il segno di una conversione a U del Fondo rispetto alle ottuse visioni contabili del passato. Ma un così forte accento sul tema della “disuguaglianza” indica comunque che nel dibattito economico mondiale qualcosa sta cambiando. Si sta forse riscoprendo quanto scritto da Keytus duecento anni fa. Ovvero che la concentrazione della ricchezza tende a produrre soltanto rischiose avventure finanziarie mentre l’impoverimento dei redditi da lavoro spegne i consumi diffusi così togliendo l’ossigeno indispensabile per la crescita economica. Insomma, che la lotta contro le disuguaglianze non è solo un problema di giustizia sociale ma anche di utilità economica generale.
In un’ottica italiana il richiamo a queste novità dello scenario internazionale serve a meglio a valutare il merito delle mosse annunciate dal governo Renzi. In particolare per quanto riguarda due degli impegni dichiarati: 1) la defiscalizzazione nell’ordine di dieci miliardi complessivi a favore dei redditi fino a 25 mila euro annui; 2) il taglio dell’Irap nella misura del 10 per cento finanziario attraverso un aumento del prelievo sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento. Fino a un minuto prima dell’annuncio ufficiale si è a lungo dibattuto se fosse più conveniente per i suoi effetti sul rilancio dell’economia concentrare la spinta dei provvedimenti sui costi delle imprese (Irap) ovvero sui redditi dei lavoratori.
E’ evidente che la scelta di Renzi fa proprie le preoccupazioni espresse (finalmente!) dal Fondo monetario. Soprattutto per un aspetto particolarmente critico della realtà italiana: quello di una continua caduta dei consumi che rischia di materializzare il minaccioso fantasma della deflazione. Può essere che dieci miliardi in più nelle buste paga non abbiano la forza di produrre quello shock risolutivo alla domanda interna che sarebbe auspicabile. Ma un punto è certo: lo stesso denaro concentrato su un maggior taglio dell’Irap a beneficio dei costi aziendali avrebbe avuto ben minore impatto di rianimazione sul sistema economico. Ne fa fede, del resto, la reazione della stessa Confindustria che ha limitato le sue proteste a quel che si può definire il minimo sindacale.
Quanto Alla Simmetria fra taglio dell’Irap e aumento del prelievo su dividendi e “capital gain”, anche in questo caso si tratta di un’operazione che sposta i benefici fiscali da investimenti meramente finanziari a impieghi più connessi all’economia reale. Quindi, di una manovra che tende a riequilibrare un’altra delle tante diseguaglianze presenti nel sistema favorendo stavolta la fascia più direttamente produttiva (anche di occupazione) dell’apparato industriale.
Allo stato, perciò, i veri dubbi che rimane lecito sollevare sugli annunci del premier Renzi sono quelli relativi alla compatibilità di una manovra per ora soltanto promessa con i limiti oggettivi di un bilancio pubblico tuttora fragile e sempre esposto ai venti capricciosi della congiuntura mondiale. Sulla direzione degli interventi, però, nulla da eccepire. In un paese, che ha perso più di metà dello scorso anno a dilaniarsi sull’Imu ovvero sui favori alla rendita immobiliare, si tratta di una svolta comunque salutare.
Massimo Riva – L’Espresso – 27 marzo 2014


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