C’è speranza, anche se
a volte troppi ne dubitano, per le nuove generazioni.
Almeno per quelli che
al rigore intellettuale aggiungono la passione
Sono una studentessa che ha conseguito la laurea triennale in
Scienze Politiche alla Luiss, con una tesi su Piero Calamandrei che le invio,
perché sarebbe per me un sogno che finalmente si avvera, avere un suo parere al
riguardo, anche se so di compiere un’azione forse non ordinaria o comunque non
collegata al contesto della rubrica di cui lei si occupa.
Ho trascorso i primi tre anni di università con l’ansia, le
gioie e le paure che accompagnano una studentessa, ma il periodo della tesi mi
ha messo di fronte a una realtà: la passione e l’amore per quello che si studia
portano a una più grande soddisfazione, che trascende i risultati frutto di
quel lavoro.
Mi sono infatti convinta che la scelta dei titoli, degli
avverbi possono comunicare e descrivere una persona, anche in un mondo in cui
la tecnologia, la concisione e l’intermediazione delle macchine stanno
prendendo il soppravvento sui rapporti interpersonali. Inoltre la figura di
Calamandrei mi ha affascinata per la straordinaria attualità e perfetta
coincidenza di certe tematiche da lui affrontate negli anni Cinquanta e
pienamente iscritte ai temi della cosiddetta “agenda dei media e della
politica”. Esistono ancora uomini del genere, che consentano ai giovani di
avere almeno uno spiraglio di luce per non cadere nell’abisso dell’idealismo da
un lato e dello scetticismo e cinismo dall’altro?
Antonia da Trapani
Pubblico la sua lettera, che lei stessa ritiene anomala per
la rubrica che curo, per segnalare due cose: la prima è che ci sono molti giovani
che scrivono decisamente meglio di molti adulti (lo deduco dalle lettere che
ricevo), la seconda per sottolineare l’importanza della tesi di laurea nel
percorso formativo di uno studente universitario.
Spostando l’attenzione su questi due temi, so di deludere le
sue attese di un mio giudizio. Ma che la sua tesi sia davvero ben costruita e
sorvegliata in ogni particolare del suo svolgimento l’avrà saputo dai
professori che l’hanno giudicata e, immagino, positivamente valutata.
La cosa che più mi ha colpito è la qualità della sua
scrittura, che smentisce l’opinione diffusa che i giovani oggi non sanno più
scrivere, anche per quell’analfabetismo di ritorno indotto dalla scrittura con
strumenti informatici. E siccome la scrittura non è sola una tecnica, ma un’espressione
che traduce in lettere una partecipazione dell’anima, vien da pensare che, a
differenza degli adulti, i giovani, anche se non tutti, abbiano più anima, più
cura dei loro sentimenti, più voglia di raffinatezza nell’esprimerli e nel
riprodurli con precisione in tutte le loro sfumature, che parlino d’amore o di
Piero Calamandrei.
Questo mi induce a ritenere che la tesi di laurea sia
un’esperienza fondamentale al termine di un ciclo di studi, perché, a
differenza degli esami, con la tesi di laurea lo studente è autore e, sia per
ragioni narcisistiche (e vanno bene anche queste), sia per autentico entusiasmo
e partecipazione con l’argomento scelto (anche se talvolta i professori muovono
agli studenti il rimprovero di essersi identificati troppo con l’autore,
sottintendendo che mancano di senso critico), la tesi di laurea, a differenza
degli esami, è un’esperienza che impegna non solo l’intelligenza, ma l’intera
struttura della personalità, che in quelle pagine si mette in gioco e le firma.
Oggi le tesi che concludono la laurea triennale per lo più
non superano le 30 pagine, che spesso non sono neppure lette 8e gli studenti lo
sanno). Alcune università hanno addirittura prescritto che dette tesi non
devono superare le 27mila battute, spazi compresi. E così la tesi diventa un
fatto burocratico, assolto senz’anima, quando invece gli studenti, dopo re anni
di studi, l’anima vorrebbero mettercela, per sapere, prima che dai loro
professori, per se stessi, chi sono e cosa sono diventati dopo re anni di studi
e una trentina di esami.
Mi spiace aver dovuto tagliare di molto la sua lettera, ma
come per le tesi triennali, anche per i giornali vale il numero invalicabile
delle battute, e perciò le invidio il fatto che, non richiesta, lei abbia
potuto diffondersi nella sua tesi per 110 pagine senza ridondanze e con un
controllo rigoroso nell’uso delle parole. Spero che il futuro che l’attende non
la deluda e non la deprima rubricando il suo lavoro. Come spesso avviene, in
una pratica burocratica che si deve assolvere per laurearsi. Perché proprio nel
trascurare o nel non accorgersi dal livello di eccellenza raggiunto da alcuni
giovani ravviso una delle cause della decadenza del nostro Paese e lo spegnersi
della speranza.
Umberto Galimberti – Donna di Repubblica – 8 marzo 2014
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